Riflessioni sulle politiche culturali di promozione del patrimonio del contemporaneo, a margine dell’affaire tra Portogallo e Brasile sulla cessione dell’archivio Mendes da Rocha
Le vicende inerenti l’archivio di Paulo Mendes da Rocha, ricostruite dall’articolo di Giacomo Pirazzoli pubblicato su questo Giornale, sollecitano l’apertura di un dibattito che riguarda alcuni nodi dell’odierna fragilità del sistema archivistico. Per non incorrere in giudizi affrettati e superficiali dovremmo conoscere meglio le motivazioni delle scelte di figure di primo piano del mondo dell’architettura per assicurare un futuro alla propria opera intellettuale. Il primo dato che pare utile sottolineare è la competizione tra istituzioni museali e archivistiche per assicurarsi le carte dei grandi maestri. Questo significa che l’archivio dell’architetto è ormai ritenuto una ricchezza, e questo è comunque un enorme progresso rispetto a cinquant’anni fa.
Forse è il caso di fare un cenno alla storia dei primi musei di architettura, istituzioni pionieristiche di tutela del patrimonio contemporaneo, che all’epoca non era affatto considerato d’interesse e di valore. Il Museo dell’architettura finlandese è nato a Helsinki nel 1956 intorno ad una collezione di fotografie dell’Ordine degli architetti, a cui si è presto aggiunto l’archivio di Eliel Saarinen (1873-1950). In un Paese dalla storia molto giovane come la Finlandia, il Museo di architettura ha assunto il ruolo strategico di ambasciatore culturale nel mondo, decretando il successo di lunga durata di quella scuola di architettura che tutti conosciamo. Non è dunque un caso se a Helsinki, e in quel museo che aveva fatto scuola, è nata nel 1979 la Confederazione internazionale dei musei (e degli archivi) di architettura (ICAM), che ha aggregato una comunità d’istituzioni ed esperti capace di costruire le premesse per un lungo percorso di conoscenza e valorizzazione di collezioni straordinarie. La formula vincente di questa comunità è senza dubbio la capacità di fare rete con l’obiettivo di diffondere la cultura dell’architettura contemporanea, di sensibilizzare ai valori del paesaggio urbano, di cercare alleanze nella comunità scientifica. Lo statuto dell’ICAM specifica la finalità di «promozione dell’architettura e della storia dell’architettura», mentre tra i principi sono il «rispetto dell’integrità dell’archivio» e la raccomandazione di consultazione tra i membri dei Paesi interessati sulla possibile acquisizione e trasferimento di archivi, o parti di essi, fuori dal luogo di produzione: «ICAM members should as far as possible avoid collecting architectural archives in other members’ countries, which are known or believed to be of national interest to members in those countries, without first consulting them».
Evidentemente merita riflettere su questo punto, e approfondire ad esempio il caso del Portogallo, viste le vicende di Alvaro Siza e Mendes da Rocha: sarebbe utile saperne di più e conoscere meglio la politica della Casa da Arquitectura di Matosinhos, del Museu Serralves e della Fundação Calouste Gulbenkian.
Anche il caso italiano merita una riflessione. Il nostro Paese vanta un primato e un modello molto apprezzato all’estero per l’istituzione nel 1999 dell’Associazione nazionale archivi di architettura contemporanea (AAA Italia), nata dalla collaborazione tra istituzioni all’avanguardia come l’Archivio del ‘900 del MART di Rovereto, il Centro studi e archivio della comunicazione di Parma (CSAC), l’Archivio progetti dell’Università IUAV di Venezia e l’Accademia nazionale di San Luca, per «promuovere la conoscenza degli archivi di architettura d’età contemporanea da parte di un pubblico vasto, interessato alla città e all’ambiente costruito». AAA Italia ha saputo costruire una rete di relazioni tra istituzioni pubbliche e private, professionisti, amministratori e cittadini nel rispetto e anzi nella valorizzazione del policentrismo che caratterizza la cultura italiana. Ha anche ottenuto, unico Paese al mondo, l’istituzione di una “Giornata nazionale degli archivi di architettura”, che giunge quest’anno alla decima edizione. È dunque un modello vincente, che però oggi deve fare i conti con un contesto profondamente cambiato, a partire dalla crisi del Mibact. Quella energia straordinaria sembra affievolirsi, mentre le istituzioni appaiono sempre più fragili e spesso prive d’idee.
Forse il vero nodo su cui interrogarsi è quale sia la missione degli archivi e dei musei di architettura: restare semplici luoghi di conservazione e consultazione, o essere piuttosto centri di relazione e formazione, poli strategici di promozione di una cultura – quella del contemporaneo – che è sempre a rischio: come dimostra il recente decreto sugli stadi storici.
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Last modified: 8 Ottobre 2020
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