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Written by: Città e Territorio

Rapporto Labsus: i beni urbani come beni comuni

Rapporto Labsus: i beni urbani come beni comuni
Secondo il rapporto Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà 2019, la rigenerazione dei beni comuni urbani appare sempre più come un’esperienza di cura condivisa

 

Per migliaia di cittadini, abitare le città e i territori è anche e soprattutto una pratica relazionale e un’esperienza di cura. Questo emerge dal Rapporto Labsus 2019, che raccoglie le esperienze di amministrazione condivisa e cura dei beni comuni, in corso in più di 200 municipi in tutta Italia.

Quando nel 2014 l’associazione Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà, insieme al Comune di Bologna, scrisse il “Regolamento per la collaborazione tra cittadini ed amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”, la speranza era quella di facilitare la libera iniziativa dei singoli nel prendersi cura dello spazio collettivo dell’abitare e delle proprie comunità, senza incorrere in sanzioni o impedimenti burocratici. Un’aspirazione che negli ultimi 5 anni si è concretizzata in un’effervescenza inaspettata in tutto il territorio nazionale. Da nord a sud, nel 2019 si contano più di 1000 patti di collaborazione, strumenti operativi che attuano il regolamento e che definiscono in concreto e nel dettaglio gli oggetti della collaborazione, le azioni di cura e gli impegni condivisi tra società civile e istituzioni pubbliche.

Nelle esperienze raccontate dalla comunità di Labsus emerge in modo chiaro come «l’abitare sia prodotto di quella complessa relazione tra l’uomo e lo spazio fisico, che egli costruisce a partire da un sistema di riferimenti culturali, risorse materiali, tecnologiche e opportunità sociali», così scrive Vincenzo Marrone nel suo saggio L’abitare come pratica sociale.

I beni urbani, pubblici o privati (piazze, giardini, scuole, biblioteche, ex fabbriche, aiuole, ecc..), diventano beni comuni quando esiste una comunità di abitanti che si attiva per prendersene cura, riconoscendo in questi un valore d’uso che è contestuale e negoziale. E’ infatti il progetto dell’uso aperto e collettivo dello spazio, che nasce dalla co-progettazione tra cittadini e amministrazione, a trasformare un bene urbano in bene comune, declinandosi nel patto di collaborazione in azioni di rigenerazione materiali e immateriali. Nella maggior parte dei casi la cura dello spazio è veicolo per favorire interventi a carattere sociale, culturale, educativo ecc., per cui succede che un’azione di manutenzione di aree verdi prenda forma attraverso interventi d’inclusione sociale, coinvolgendo, ad esempio, rifugiati richiedenti protezione internazionale (come nel caso di Brescia); o che attraverso l’auto-costruzione di arredi per il recupero di un immobile dismesso, si attivi un laboratorio di formazione e scambio di competenze tra cittadini (come nel caso del patto “In-Stabile Portazza” a Bologna). Lo spazio fisico della città si svela in modo inconsueto. Attraverso pratiche d’uso informali, le dotazioni urbane acquistano nuovo significato, superando il proprio carattere ordinativo predefinito o la propria natura patrimoniale.

 

La tipologia degli spazi scelti dai patti di collaborazione

Nella maggior parte dei patti analizzati nel Rapporto Labsus, è il verde urbano (giardini, aiuole, parchi) ad essere al centro delle proposte di cura condivisa (50%), seguito da piazze e strade (18%) e dalle scuole (8%). I luoghi della città pubblica continuano ad essere riconosciuti dagli abitanti come gli spazi dell’incontro, dove mettere le proprie risorse di tempo, energia e volontà per recuperarne e potenziarne il carattere collettivo. Si aggiungono, in modo inaspettato, anche gli immobili dismessi o sotto-utilizzati (circa l’8% dei patti analizzati includono ex scuole, ex caserme, ex oratori, ex cinema), a dimostrazione che il patto di collaborazione è uno strumento sufficientemente agile, semplice e alla portata di tutti, per innescare processi di rigenerazione a carattere inclusivo e aperto. Si conta, infatti, un gran numero di progetti di riuso che prevedono un’ampia partecipazione di soggetti civici, siano essi in forma organizzata (associazioni, cooperative) o meno (gruppi informali, cittadini singoli). Questo ci dimostra come ampliare le alleanze, superando il tradizionale rapporto esclusivo a due delle forme concessionarie (comune/proponente), consenta di aggregare quelle energie e quel capitale sociale e relazionale necessario a rispondere in modo efficace a problemi urbani anche complessi.

Le storie raccolte nel Rapporto Labsus 2019 parlano di una nuova “società della cura”, che si sta rendendo sempre più visibile nei centri urbani, dimostrando come la propria azione di rigenerazione sullo spazio sia un contributo per allargare a tutti il “diritto alla città”.

 

Autore

  • Emanuela Saporito

    Architetto e PhD in Spatial Planning and Urban Development. La sua attività di ricerca, svolta tra il Politecnico di Milano e il Politecnico di Torino, e come visiting scholar all'Università di Harvard, si è concentrata sui processi decisionali collaborativi e sulla partecipazione civica alle pratiche di pianificazione urbana. Emanuela è socia fondatrice di "OrtiAlti", un progetto di ricerca-azione sulla rigenerazione urbana attraverso l'innovazione sociale, e membro attivo di "Labsus. Laboratorio per la sussidiarietà", con il quale esplora la cultura e la pratica dell'amministrazione condivisa dei beni comuni urbani.

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Last modified: 30 Marzo 2020