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Un habitat per arginare l’Alzheimer

Un habitat per arginare l’Alzheimer

Visita al centro terapeutico diurno progettato da Martina Davanzo con Carlo Calderan a Castelfranco Veneto

 

CASTELFRANCO VENETO (TREVISO). È noto: l’invecchiamento della popolazione sta producendo nuovi e gravi problemi d’ordine sociale ed economico, ancor prima che medico. I numeri sono significativi: la popolazione italiana ultrasessantacinquenne non autosufficiente supera i 2,5 milioni; le patologie degenerative riguardano oltre 1 milione di persone. Fra queste, l’Alzheimer ha un ruolo considerevole incidendo profondamente, oltre che sui malati, anche sulle famiglie di provenienza in relazione a cura, sorveglianza, interferenze con impegni lavorativi e gestione dei rapporti sociali. I protocolli di cura prevedono che una parte consistente delle attività di contrasto alla malattia siano volte a consentire al paziente il mantenimento delle abilità funzionali residue il più a lungo possibile. Per intervenire ad hoc è importante adattare l’habitat, inteso sia come contesto umano e relazionale, sia come spazio architettonico.

Per questo particolare aspetto si è adoperata Martina Davanzo con Carlo Calderan, progettando un centro terapeutico diurno, concepito avvalendosi della consulenza di Vito Toso, neurologo specializzato in demenze, all’epoca presidente della Casa per anziani Domenico Sartor, oltre al gruppo di lavoro interno all’istituzione, integrando la sapienza teorica con quella empirica attraverso un approccio trasversale e partecipativo.

Onde consentire al centro Sartor di offrire un percorso dall’avvio agli ultimi stadi della malattia, garantendo un supporto completo a paziente e famiglia, l’obiettivo è stato quello d’integrare soluzioni differenziate destinate a vari stadi della patologia. In pratica la progressione dei disturbi muove dal dimenticare gli appuntamenti importanti, fino all’impossibilità di sopravvivenza senza una qualche forma di assistenza. Per questa nuova specifica struttura, tassello di un ecosistema di cura per gli anziani più vasto, si è ipotizzata la fruizione da parte di pazienti con un livello pressoché omogeneo di gravità, muniti di un declino cognitivo lieve o medio, un ambito classificabile dal 3° al 5° stadio della Global Deterioration Scale relativa a quest’affezione.

In un primo momento s’era immaginata la riqualificazione del complesso dell’obitorio ospedaliero allora in fase di dismissione ma, vista l’assenza di valore architettonico del fabbricato, è prevalsa la volontà di erigere una costruzione ex novo, tenendo conto anche degli evidenti risvolti psicologici sottesi al riuso di un edificio così fortemente connotato nella memoria collettiva.

Deciso l’indirizzo, s’è intrapresa un’attività di ricognizione e studio su strutture simili. Fra molti esempi, in particolare sono serviti a riferimento i Centri diurni terapeutici svizzeri Pro Senectute del Ticino e Moesano: in particolare quello di Balerna, propinquo al confine italiano e interessante per la struttura, sebbene riadattata, oltre che per l’approccio metodologico, al di là dell’assai limitato numero di ospiti. L’analisi dei riti quotidiani legati all’intimità domestica in relazione alla patologia e la scansione dei ritmi della giornata che fungono da filo conduttore, sono stati occasione di continue sollecitazioni, onde concepire l’habitat più adatto alle terapie riabilitative, occupazionali e cognitive.

Un’altra decisiva spinta progettuale è scaturita dall’assimilazione dell’esperienza di Cary Smith Henderson, paziente che a suo tempo ha deciso di documentare il processo della propria malattia registrando pensieri e vissuto, riferendo così sulla propria condizione di sofferenza, i timori per l’aggravamento e le proprie mutevoli necessità derivate dal progressivo cambiamento del proprio essere, condensando poi queste testimonianze nel prezioso volume Visione parziale: un diario dell’Alzheimer.

Da queste e altre considerazioni è nato l’edificio: a mo’ di cerniera, in una zona prossima al centro storico, si posiziona programmaticamente al limite nord-ovest dello spazio verde in comune con la casa di riposo concepita negli anni ’70 dai genitori della progettista relazionandosi con essa e, nel contempo, marcandone la propria autonomia formale.

Già dai primi schemi a schizzo, appare chiara l’importanza della minuta relazione con la vegetazione: l’organizzazione in direzione est-ovest, segnata da un corridoio d’ingresso sul lato nord che dirige verso un nucleo centrale di supervisione, a contatto con un frammento di verde interno provvisto d’importanti alberature preesistenti, da cui si dipartono ambienti relativamente piccoli molto luminosi e quasi domestici, ove sono organizzate le attività di cura. È un sistema logicamente delimitato per una parte importante da diaframmi in calcestruzzo, ma nonostante enclosures invalicabili necessarie a proteggere fisicamente i malati, dall’interno le finestrature alte o la griglia di piccoli fori tronco-conici sulla muratura producono un effetto filtrante assai discreto, aperto alla visione sia esterna che interna, evitando opprimenti sensazioni d’isolamento.

Osservando le sezioni e i prospetti si può apprezzare il tessuto compositivo dei volumi digradanti sul confine nord, che si concludono con un brano di tetto a verde in direzione ovest, delimitando un interessante hortus conclusus con una funzione terapeutico-pratica, isolato anch’esso ma a contatto con il vivace andirivieni esterno grazie alla reiterazione del sistema di forature che continuano pure a sud avvolgendo lo spazio principale di soggiorno e contribuendo a dosare la luce meridiana, terminando nel nodo in cui il complesso si apre decisamente verso il parco. Qui, entro una piccola gibbosità del terreno, alberga un’isola semincavata collegata al complesso e destinata all’attività e alla residenza esterna. Proseguendo il periplo verso est, alla conclusione del fabbricato un’interessante scala a sbalzo in metallo prossima all’ingresso offre un accesso separato a un ampio ambiente indipendente ad altezza variabile sito al livello superiore, destinato a riunioni e attività accessorie.

Ora che la struttura è aperta, si pone il problema delle sue reali modalità di utilizzo. Le economie dettate dai tagli draconiani in ambito sanitario e il modello di gestione pratico derivato stanno mettendo fortemente alla prova le delicate ipotesi progettuali, sia mediche che architettoniche.

 

Chi sono i progettisti

Giuseppe Davanzo (1921-2007) inizia la propria attività nella seconda metà degli anni ’50 affiancato da Livia Musini, che negli anni si dedicherà sempre di più alla progettazione del verde. Dal 1995 fa parte dello studio Martina Davanzo, a cui è affidato il compito della continuità e la sistematizzazione del ricco archivio di materiali dello studio, che ha portato all’allestimento della mostra nel 2016 e alla pubblicazione del libro postumo A margine del mestiere nel 2017. Lo studio si è sempre caratterizzato per l’attività di ricerca e sperimentazione, affrontando i molteplici temi della progettazione. Dai concorsi-appalto degli anni ’60-‘70 per importanti opere pubbliche, fra cui il Foro Boario di Padova, vincolato nel 2008 dalla Soprintendenza, alla progettazione del verde anche in ambito storico a partire dagli anni ’80. Dagli anni ’70 fino agli anni 2000 lo studio si è anche occupato dell’allestimento di mostre d’arte (Rimini, Treviso, Venezia e Firenze) e fino al 2001 Giuseppe Davanzo ha associato all’attività professionale quella didattica presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV). Fra gli ultimi incarichi la sede di una banca in palazzo Marcati a Treviso (2007-2013). Molti lavori di Davanzo Architetti sono stati oggetto di pubblicazioni, premi, segnalazioni e mostre in Italia e all’estero. 

davanzoarchitetti.it

La carta d’identità del progetto

committenteCentro Residenziale per Anziani “Domenico Sartor” (IPAB), con finanziamenti pubblici regionali

localizzazione: Castelfranco Veneto, Treviso

cronologia: 2009-2016

progetto architettonico: Martina Davanzo, con Carlo Calderan 

coordinamento e direzione artistica: Martina Davanzo 

responsabile sviluppo progetto: Federico Povegliano

progetto strutturale: Giovanni Cocco, con Andrea Cantarini 

volume: 4.266,68 mc 

altezza edificio: 7,77 m 

superficie coperta totale: 935,40 mq 

superficie netta: 729,24 mq 

spazi all’aperto: 546,45 mq (107, 74 mq orto – 42,40 mq corte interna – 243,32 mq giardino – 153,39 mq passeggiata coperta) 

 

Autore

  • Gabriele Toneguzzi

    Architetto, PhD in design, è attivo in vari settori progettuali, in particolare negli allestimenti museali. Dal 2005 scrive per «Il Giornale dell’Architettura». Come contrattista ha svolto didattica a Roma (La Sapienza), Firenze, Ferrara, Padova, San Marino, Venezia (Iuav), ove insegna attualmente. È stato designato visiting professor and researcher semestrale in Portogallo. Ha collaborato con la Chalmers University of Technology di Göteborg

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Last modified: 16 Luglio 2019