Fino al 26 maggio a Firenze una mostra presenta, con materiali in gran parte inediti, le opere dell’architetto che amava definirsi un “Anonimo del XX secolo”
FIRENZE. Fin dai tempi di Dante, la città non ha mai reso la vita facile ai suoi cittadini più illustri ed è stato così anche per Leonardo Ricci (1918-1994), che a Firenze ha offerto numerosi progetti, spesso rimasti sulla carta. A un secolo dalla nascita, il capoluogo toscano rende omaggio a Ricci con una mostra a cura di Maria Clara Ghia, Ugo Dattilo e Clementina Ricci, all’interno dell’ex refettorio di Santa Maria Novella, di fronte alla stazione.
L’allestimento, dello studio Eutropia Architettura, riesce nel difficile compito d’instaurare un dialogo con l’architettura della lunga sala, caratterizzata da un doppio colonnato e volte a crociera, senza rinunciare a costruire un sistema espositivo dal carattere deciso, in grado di orientare lo spazio e trasformarlo.
La curatela sceglie di partire non dalle opere ma da un libro di Ricci dal carattere non specialistico, Anonimo del XX secolo, pubblicato in inglese nel 1962 e tre anni dopo in italiano, e suddiviso in sedici capitoli che in mostra diventano altrettanti nuclei tematici. L’accostamento tra i temi dei capitoli e i progetti riflette l’habitus mentale dell’architetto, capace di una grande libertà intellettuale e di trascendere i limiti disciplinari e le geografie per diventare pittore a Parigi, professore in America, scrittore esule a Venezia, muratore prima che architetto in molti dei suoi cantieri.
Le opere originali esposte in mostra, provenienti dal Centro studi e archivio della comunicazione (CSAC) di Parma (che a sua volta gli ha dedicato una mostra da poco conclusasi) e dalla casa-studio dell’architetto a Monterinaldi (Firenze), sono collocate su un muro inclinato dalla texture scabra che corre lungo tutta la navata centrale della sala e costituisce la spina dorsale dell’allestimento.
Tra i primi progetti presentati vi sono la casa unifamiliare Mann-Borghese a Forte dei Marmi (Lucca, 1958) o la Balmain all’Isola d’Elba (Livorno, 1959), ma anche i disegni iconici dei villaggi valdesi di Agape a Prali (Torino, 1946-48) e Monte degli Ulivi a Riesi (Caltanissetta, 1963), in cui Ricci conferisce forma concreta al suo pensiero sociale comunitario, «trasformando l’architettura da rappresentazione dell’esistenza a luogo del suo libero accadere» (Giovanni Leoni, dal catalogo della mostra, Didapress 2019).
Le tavole dei progetti fiorentini mostrano i brani dello skyline di una città “che poteva essere”: la Fortezza da Basso (1967) e il centro direzionale (1977), non costruiti; “La nave” a Sorgane (1962-66) e il Palazzo di Giustizia (1981-88), realizzati deviando dal progetto originale. Il progetto di Sorgane è coordinato dal suo maestro Giovanni Michelucci, che in qualche modo affida all’allievo anche il testimone della didattica universitaria: entrambi sono stati presidi della Facoltà di Architettura di Firenze e hanno mantenuto un atteggiamento di apertura che ha permesso all’ateneo di conoscere una grande e lunga stagione, dal razionalismo allo sviluppo dei gruppi radicali.
Di fronte alla parete espositiva longitudinale si trovano delle capsule, dedicate ad approfondimenti specifici, che generano un’alternanza di volumi aperti e nicchie protette, come spesso avviene nei progetti di Ricci – basti pensare ai disegni teorici per Habitation Study -, che combinano sapientemente ampi spazi pubblici e stanze private intime come una grotta. All’interno di questi box sono documentati, ad esempio, i progetti di scala territoriale, le “Città-Terra” caratterizzate da un tessuto orizzontale da cui emergono le verticali delle torri, come la Dog Island (1968-1970) o la macrostruttura per Miami (1970), risultato dell’attività didattica e progettuale svolta da Ricci alla Florida University.
Il villaggio di Monterinaldi (1949-1968) rappresenta il cuore della produzione di Ricci e della mostra: sorge su una collina brulla che guarda Firenze, dove l’architetto per primo costruisce la casa della sua famiglia e dove presto si trova a progettare altre ventidue abitazioni, cresciute per annessione e senza soluzione di continuità, anteponendo i valori della socialità e della coesione a quelli della proprietà privata.
Sull’altro lato del muro espositivo sono raccolte testimonianze di diversa natura che permettono d’inserire la figura di Ricci nel contesto dell’epoca, in particolare le riviste che presentano i suoi progetti. Una serie d’interviste video ad architetti come Richard Rogers e a parenti, come la nipote attrice Elena Sofia Ricci, consente inoltre di ricostruire la sfera delle relazioni e degli affetti.
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Last modified: 24 Aprile 2019