Una riflessione sull’interesse pubblico e le contraddizioni nella vendita del patrimonio, a margine dell’approvazione della Legge di bilancio dello Stato
A seguito della recente approvazione della Legge di bilancio è lecito ragionare sulle implicazioni che questa produce nel mondo dell’architettura. In particolare sulla scelta di recuperare 600 milioni dalle dismissioni immobiliari, di cui 50 milioni da patrimonio dello Stato, 380 milioni da beni degli enti locali e 170 milioni dagli enti previdenziali. Nelle righe che seguiranno proverò ad argomentare perché non condivido questa scelta e perché la ritengo dannosa per il sistema paese.
La prima ragione riguarda la natura del bene. Il territorio e il patrimonio pubblico sono la risorsa più esauribile a nostra disposizione. Più del petrolio, del gas o dell’acqua. In una nazione piccola, densa e fortemente abitata come quella italiana, terra e immobili rappresentano un bene raro, sono l’identità stessa della nazione, l’eredità della storia e la più potente opportunità di rilancio del nostro ambiente. Usare questo patrimonio per sostenere i conti pubblici è una scelta sbagliata perché non sistemica, non orientata al ridimensionamento della cosa pubblica nell’ottica di generare un risparmio economico continuativo e duraturo, ma indirizzato a bruciare risorse, nella consapevolezza che sono le ultime, un una tantum che non guarda al futuro, ma unicamente al presente. Cosa più grave è la scelta di bruciare la risorsa più esauribile a nostra disposizione: il territorio. Risorsa che, una volta venduta, non tornerà indietro, determinando cambi indelebili ed occasioni perse nelle nostre città.
La seconda ragione riguarda l’orientamento dell’interesse pubblico. L’equivoco di fondo è far prevalere l’esigenza di fare cassa sul valore sociale che riveste il territorio. L’esigenza economica non dovrebbe coinvolgere un settore strategico come quello del patrimonio pubblico, settore nel quale riversare e non attingere soldi. Diversamente la priorità dovrebbe essere valorizzare i luoghi in cui viviamo, incrementare la qualità delle nostre città, il valore dei servizi, piuttosto che incassare finanziamenti. Per questa ragione metter a bilancio 600 milioni dall’alienazione del patrimonio pubblico è dannoso ed in parte perverso. Perverso perché spinge lo Stato verso un approccio speculativo proprio del settore privato che vede il valore economico delle cose prevalere su quello sociale. Il timore non riguarda l’enorme difficoltà di alienare in un solo anno un patrimonio tanto consistente, quanto l’idea stessa che lo Stato venda parti della cosa pubblica a fini speculativi.
Non c’è ideologia in questa posizione, ma semplice pragmatismo. Per questo non si nega la necessità di razionalizzare il patrimonio pubblico, ipotizzando anche importanti alienazioni, ma sempre nell’ottica che questo processo sia finalizzato al miglioramento dell’ambiente in cui viviamo, senza evocare ambigui utili economici da destinare altrove.
Alcuni esempi. Nel patrimonio pubblico un importante capitolo è costituito dalle caserme militari in disuso [nella foto di copertina, la Caserma Montello a Milano]. Queste possono diventare una risorsa ambientale strategica per produrre qualità attraverso progetti di rigenerazione urbana, oppure dei dispositivi economici attraverso i quali lo Stato incassa risorse economiche prodotte da operazioni immobiliari private. Quale interesse pubblico deve prevalere? La necessità di garantire qualità ambientale o quella di creare risorse economiche? Non esiste una terza via: anche i più virtuosi esempi di coniugare pubblico e privato, se non supportati da investimenti statali, o almeno non appesantiti da costi fondiari, nascondono forti limitazioni che presto o tardi si manifesteranno per il loro fallimento. Non si può chiedere ai privati di sostituirsi al pubblico gravandolo di un onere finanziario che solo un approccio speculativo può riassorbire, così come non si può accettare che il pubblico speculi sui propri beni. Sono scelte politiche differenti che producono esiti spaziali quasi opposti. Da una parte operazioni immobiliari privatistiche più o meno felci, dall’altra processi pubblici di servizi ai cittadini dove Stato e settore privato coabitano attivamente nell’interesse di tutti. Sono scelte chiare, come evidente è l’orientamento verso il quale l’interesse pubblico dovrebbe tendere.
La dismissione delle caserme militari è solo un esempio dei molti beni pubblici che potrebbero diventare progetti strategici per le nostre città. Progetti capaci di rigenerare il territorio e diventare promotori di qualità, volani di rilancio che alla lunga modificheranno in forma più radicale anche le economie delle comunità (che è un parametro importante, ma non l’unico per valutare le azioni di governo). È con questa ottica che il Governo dovrebbe considerare il patrimonio pubblico esistente, come occasione per costruire un ambiente migliore, come strumento per ricucire le molte cicatrici del nostro territorio. Le impellenti esigenze economiche non possono prevalere su un interesse pubblico più alto che non può essere ridotto ai soli valori economici della cosa pubblica.
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rigenerazione urbana
Last modified: 9 Gennaio 2019