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Alessandro ColomboWritten by: Progetti

M9. Un museo del Novecento per il nuovo millennio

M9. Un museo del Novecento per il nuovo millennio

Nel cuore di Mestre, visita al museo dedicato alla storia del Novecento italiano. Dopo oltre dieci anni di gestazione e quattro di lavori, un nuovo polo culturale rientrante in un progetto di rigenerazione urbana firmato da Sauerbruch Hutton che coniuga una pluralità di funzioni tra cui quella direzionale e commerciale

 

LEGGI LA RIFLESSIONE DI CARLO OLMO SUL SIGNIFICATO CULTURALE DI M9

 

MESTRE (VENEZIA). L’ortofotogramma comparato parla chiaro: da una situazione interclusa, non percorribile, fatta di manufatti cresciuti casualmente attorno ad un antico convento, incistata nel centro di Mestre, si passa ad un nuovo equilibrio costituito da un grande blocco trapezoidale che affianca il chiostro quadrilatero, completamente rinnovato e che permette d’interconnettere le parti di città circostanti. Fondazione di Venezia, attrice e protagonista di questo processo che giustamente non può che essere considerato di rigenerazione urbana, di fronte alle autorità al massimo livello e al numeroso pubblico convenuti nel giorno dell’inaugurazione, è pienamente fiera di quanto fatto che, comparando le date dei due scatti, 2012 e 2018, è avvenuto in un tempo sì lungo ma tutto sommato accettabile, anche considerando come vanno di solito questo tipo di operazioni in Italia.

Ci pare questa la chiave di lettura più giusta e positiva per valutare M9, grande museo pensato per raccontare la storia dell’Italia del Novecento agli italiani del nuovo millennio.

 

Il contesto urbano

Mestre è in realtà tessuto molto fragile e confuso, che la storia ci ha consegnato in una condizione di ovvia sudditanza rispetto a Venezia (anche se amministrativamente sempre di Venezia si tratta) e che si trova incastonato in un sistema -un triangolo che ha come vertici Mestre e Marghera in terraferma, San Basilio e il porto in laguna- connotato da un tema di straordinaria importanza: il waterfront, che ferrovia, scalo e ponte translagunare tagliano ponendo un problema di disegno urbano e territoriale che chiede solo di essere affrontato e risolto, al meglio. Quindi ben venga questo primo, speriamo, importante passo verso una piena e consapevole riprogettazione di quest’area pregiata ed unica al mondo che vede Venezia come sua punta di diamante.

 

L’intervento edilizio

Terminato a tappe forzate, come nella migliore tradizione, M9 si offre con immagine forte appena si sbuca a piedi da una della vie di accesso circostanti. L’impianto non è immediatamente comprensibile, è questo è un pregio di un disegno che ha cercato un dialogo con le direzioni frammentate di un tessuto edilizio minuto. Tuttavia, l’ingresso si presenta facile, disvelato dall’intradosso del sistema di “lente” scale interne che si alzano da terra sollevando così la cortina muraria a molti metri da terra. Il fronte non è murario affatto, invero, ma anzi costituito da 21mila liste ceramiche che rifulgono un poco lucide in 13 colori, stratificati orizzontali e casuali nella loro giacitura, a richiamare le tonalità del centro storico mestrino, così l’intenzione dichiarata. Purtroppo della matericità degli intonaci tradizionali e della quieta opacità dei loro colori -che così ben dialogano con le nebbie ed il sole di questa parte della penisola- la tavolozza pensata da Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton, autori del progetto architettonico (e vincitori nel 2010 del concorso internazionale a inviti bandito da Fondazione di Venezia) non sembra conservare lo spirito.

Quello che vi si apre di fronte, varcata la soglia, è sicuramente un museo di livello europeo, ben progettato e ben costruito, con la sua dotazione di spazi, ampi e funzionali, la qualità dei materiali usati, la logica dell’organizzazione del layout. La trachite a terra, le pareti degli spazi comuni in pannelli di legno elegantemente stratificati in sottili linee orizzontali, accompagnano la scoperta di spazi interni pregevoli ed inaspettati, quali il profondissimo auditorium che si lancia verso il sottoterra mestrino; la scala-quasi-rampa che, quietamente e lentamente, ti fa salire ai piani rispettando i tempi e l’incedere della salita in un palazzo barocco; la stupefacente, per ampiezza, sala all’ultimo piano (destinata alle esposizioni temporanee) che si apre libera e senza pilastri allo sguardo dello spettatore, ricalcando la sagoma dell’edificio grazie anche ad una copertura a shed ove sono celate, ma non troppo, le grandi travature reticolari di sostegno; copertura che ti riporta ad un vago sapore post industriale che non guasta affatto nella realtà produttiva del Nord-Est, ove la città è pur sempre immersa. Tutto al meglio per un Museo del Novecento che ha anche il pregio di dialogare, per contrasto e giustapposizione costruttiva, con la vicina e antica struttura conventuale, restaurata ed anzi rimessa a nuovo, caratterizzata da un’ampia corte ove un’elegante quanto fuori scala copertura permette di pensare usi nuovi e stimolanti di quello che è, comunque, il “mall” posto a motore economico dell’intervento tutto. Completano il luogo quiete casematte in cemento armato a vista, un brut che non stona con un genius loci nel quale anche la mano militare ha operato.

 

Il contenuto e l’allestimento

Un Museo del Novecento, si diceva, e da qui si può far partire la riflessione. Del Novecento, ma collocato nel nuovo millennio e a questo vocato, per intenzione e missione. Ma la struttura non è del nuovo millennio. È anzi il meglio che si possa pensare come riflessione e risultato prodotto dal vecchio secolo, il buon vecchio secolo breve, come ricordato nei discorsi ufficiali. Un bel museo, ma assolutamente tradizionale nella sostanza, con ampie sale che si prestano ad esposizioni, installazioni, allestimenti. Qui avremmo potuto vedere ad un piano una mostra sugli Etruschi, all’altro gli Impressionisti e, in copertura, una mostra di fotografia contemporanea, come in effetti è annunciato (s’inaugura il 22 dicembre “L’Italia dei Fotografi. 24 storie d’autore” a cura di Denis Curti). Invece il museo è dedicato al Novecento e il cuore della “collezione” è costituito dall’ambiziosissimo racconto della storia contemporanea dell’Italia proposto agli italiani senza l’ausilio e la messa in mostra di un oggetto significativo, senza la fisicità di un reperto, senza la seduzione di un originale. Tutto è affidato al multimediale, alla narrazione virtuale, in due spazi -i due principali piani del museo- che per l’occasione sono stati dipinti di nero ma la cui architettura, il cui disegno degli interni, nulla ha a che fare con la sopraricordata mission, al punto che il discorso, il narrare suddiviso in 8 stations, è giocoforza splittato su due piani, cedendo alla logica degli spazi e senza troppo porsi il problema.

La visita è compiuta in un trionfo di schermi, monitor, proiezioni, corner interattivi, supergrafica a fumetti, quinte ed elementi appesi, sospesi e appoggiati, che a volte ti smarrisce costringendoti a porre al tuo conscio la domanda se ciò che leggono i tuoi occhi sia un museo, una sala giochi o una rassegna en vrai delle ultime apparecchiature per installazioni multimediali disponibili sul mercato. Un lavoro enorme, che ha visto coinvolti curatori, studiosi, architetti, artisti multimediali, tecnici e tecnologie, per raccontare la loro storia agli Italiani arrivando, però, a quello che alla fine è un grande sussidiario illustrato nel quale il pubblico si aggira guardando, leggendo e giocando; un sussidiario che vive grazie ad apparati che, probabilmente, saranno presto già superati e che pongono da subito, come ben sanno i vertici dell’istituzione, il problema del futuro in un presente che è già passato.

Un intervento, nel complesso, comunque esemplare; un passo significativo nella giusta direzione per una città ed un territorio unici. Un museo da vedere e un racconto con cui interagire che rappresenta e fa conoscere la cosa più importante: la nostra storia, la storia del nostro paese e di noi italiani ma che ci lascia, dopo la visita, con un vago senso di mancanza. La mancanza di quella grazia, di quella levità, di quella profondità gioiosa, di quella bellezza che hanno sempre contraddistinto la nostra storia, la nostra cultura e che, speriamo, non ci abbandonino mai.

Immagine di copertina: l’esterno del Museo M9 (Mestre) © Polymnia Venezia,  foto di Alessandra Chemollo

 

La carta d’identità del progetto

M9 è parte integrante di un nuovo distretto in cui si coniugano innovazione culturale e tecnologica, retail, intrattenimento e servizi per un investimento di 110 milioni interamente sostenuto da Fondazione di Venezia

L’intervento comprende:

-il recupero del cinquecentesco ex convento di Santa Maria delle Grazie (a destinazione commerciale) e quello di una palazzina per uffici e attività direzionali;

-la ricostruzione delle cosiddette ex cavallerizze (per locali impianti e innovation retail);

-un nuovo volume denominato «edificio dell’albero» e connotato dallo stesso rivestimento in piastrelle policrome di M9. La galleria d’arte Massimodeluca vi ha appena trasferito la sua sede;

-la nuova struttura museale

Progetto architettonico: Sauerbruch Hutton International

Impresa costruttrice: Gruppo ICM

Progettazione integrata e strutturale e direzione lavori: S.C.E. Project

Project manager di M9: Guido Guerzoni

Progettazione coordinamento e direzione lavori per l’allestimento museale: GRISDAINESE

Ingegneria e impianti multimediali: MosaicoGroup

Progettazione e realizzazione delle visitor experience: Carraro Lab; Clonwerk – Limiteazero; Dotdotdot; Karmakina Enigineering Associates; Nema FX

Progetto grafico e immagine coordinata: CamuffoLab

Realizzazione allestimenti: Gruppo Fallani

Catalogo: Marsilio, 2018

M9 in numeri

280 mq per un auditorium da 200 posti e con visori VR

3 livelli di cui 2.610 mq destinati all’esposizione permanente (primo e secondo piano); 1.400 mq destinati a mostre temporanee ed eventi (terzo piano)

8 sezioni:

1_ Come eravamo, come siamo. Demografia e strutture sociali (a cura di Gianpiero Dalla Zuanna)

2_ The Italian way of life. Consumi, costumi e stili di vita (a cura di Alberto Bassi e Fiorella Bulegato)

3_ La corsa al progresso. Scienza, tecnologia, innovazione (a cura di Luca De Biase)

4_ Soldi soldi soldi. Economia, lavoro, produzione e benessere (a cura di Stefano Chianese)

5_ Guardiamoci intorno. Paesaggi e insediamenti urbani (a cura di Renata Codello, Carlo Pavan, Nicola Pavan)

6_ Res Publica. Stato, istituzioni, politica (a cura di Marco Gervasoni)

7_ Fare gli italiani. Educazione, formazione, informazione (a cura di Adolfo Scotto di Luzio)

8_ Per farci riconoscere. Cosa ci fa sentire italiani (a cura di Giovanni Orsina)

60 installazioni multimediali e interattive tra cui touch screen, oculus virtual reality, ologrammi, gaming con sensori di movimento, visori stereoscopici, laser point technology, telecamera Kinect

150 gli archivi da cui provengono i materiali (tra cui Teche Rai, Istituto Luce, Fondazione Treccani, Centro Storico Fiat)

 

 

 

 

 

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

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Last modified: 4 Dicembre 2018