Un commento al Report 2018 on the Italian Construction, Architecture and Engineering Industry curato dalla società Guamari in base ai fatturati 2017
Architetti poco imprenditori
Degli oltre 150.000 architetti operanti in Italia è interessante esaminare quelli (pochi) che si organizzano in forma imprenditoriale. E operano con società, analoghe a quelle d’ingegneria, diversificate anche nel design (e in molte nicchie dell’architettura), che sono la punta di diamante del made in Italy nel mondo e appartengono all«imprenditoria di progetto». L’analisi di questa determinante componente della filiera delle costruzioni è svolta dall’autore (con la collaborazione di Stefano Vecchiarino per conto della società Guamari) sulla base dei bilanci ufficiali reperiti consultando il Registro Imprese. Ed è oggetto del Report 2018 on the Italian Construction, Architecture and Engineering Industry che sarà presentato in un incontro-dibattito a Milano presso Maire Tecnimont il 4 dicembre 2018, data nella quale le classifiche aggiornate a fine novembre saranno disponibili sul sito guamari.it.
I numeri
Nel 2017 le 150 maggiori società
di architettura (e design) italiane aumentano il giro d’affari del 10,1%, pur rimanendo con 338,2 milioni (un quinto all’estero) sei volte più piccole delle omologhe dell’ingegneria. L’offerta di architettura si conferma molto frammentata (le prime cinque società scendono dal 20,2% al 19,9% del fatturato totale). Ma – nota positiva – il fenomeno dell’internazionalizzazione a supporto del “made in Italy” è in crescita: 40 società (su 150) hanno filiali in tutti i continenti (salvo l’Australia). Per apprezzare quanto i nostri architetti puntino all’estero un dato per tutti, il più eclatante: Renzo Piano Building Workshop (Rpbw) fattura 16,3 milioni con la società italiana e 44,9 con la francese (nonché la filiale statunitense). Nell’insieme la redditualità si conferma soddisfacente: l’ebitda cresce del 16% e l’utile netto del 32,6% (con solo nove società in perdita su 150) totalizzando 21,1 milioni. Positive sono anche le prestazioni finanziarie e patrimoniali: la posizione finanziaria netta peggiora del 9,8% ma si mantiene ampiamente attiva (13,5 milioni) e il capitale netto cresce del 12,4%.
Una differente graduatoria, basata sulla somma dei fatturati di più società, italiane o estere, quando fanno capo a un’unica proprietà, vede di gran lunga al primo posto Rpbw, seguita con un terzo del fatturato da One Works, con un quinto da Citterio Viel e da Lombardini22, poi da Progetto Cmr, il cui exploit si spiega anche con una diversificazione nel design and build che dall’aprile 2018 confluisce in un’apposita nuova società. Limitatamente al mercato italiano si conferma leader Lombardini22 (che controlla Degw Italia e ha una partnership con Cibic Workshop) mentre, dalla sesta alla decima posizione, si trovano ben quattro società che integrano i servizi di architettura e di ingegneria: Gpa, Crew, Starching, General Planning.
Quanto agli utili, domina Rpbw seguita da One Works, Zuccon International Project (nella ricca nicchia dello yacht design), Pininfarina Extra (per l’ultimo anno in classifica prima di tornare in seno alla “casa madre” automobilistica), Archea Associati. Passando a dati reddituali (rapportati ai fatturati) e in particolare all’ebitda margin, il primo posto spetta a Giugiaro Architettura (64,6%), poi a Zuccon International Project (44,8%), Studio Marco Piva (36,9%), Rpbw (30,6%) e Lissoni Associati (27,6%). Prendendo in esame il net margin (utile su fatturato) si confermano ai vertici Zuccon International Project (39,8%), Studio Marco Piva (25,4%), Pininfarina Extra (17,3%), Patricia Urquiola (15%), Archea Associati (14%).
Dal punto di vista finanziario sono invece cinque le società che presentano un indice di debt equity superiore all’unità, tale da destare qualche preoccupazione: Archilinea, J+S (nata da una rara fusione: tra Jps Engineering e Sering), Land Italia, Tekne e One Works. Le stesse società (con l’eccezione di quest’ultima) soffrono di un alto rapporto tra indebitamento ed ebitda (superiore a 4). Ricordando però che le tensioni finanziarie possono essere temporanee, se motivate da significativi impegni di crescita.
Autori di progetto vs brand
L’«autorialità»
, che contraddistingue l’architettura (e il design) come ogni attività creativa, spesso non traspare dai nomi (e dalle sigle) delle società al vertice dell’offerta di progetto. Questo è meno vero per le poche concorrenti straniere che si sono avventurate in Italia aprendo una filiale: oggi meno numerose che mai perché sono rimaste attive solo David Chipperfield Architects e Wilmotte Italia ma negli anni hanno chiuso le filiali di Norman Foster, Zaha Hadid, Jean Nouvel e Daniel Libeskind (che ha trasferito i contratti a Sbga, mentre Pelli Clarke Pelli Architects opera tramite la società di ingegneria Mpartner). Scorrendo la classifica, accanto ai Renzo Piano, Antonio Citterio e Patricia Viel, Patricia Urquiola, Matteo Thun, Mario Cucinella, Michele De Lucchi, Piero Lissoni, Marco Piva, Stefano Boeri, Alfonso Femia, Carlo Ratti, Nicola Cantarelli, Flavio Albanese, André Straja, Massimilano Fuksas, Massimo Iosa Ghini, Gianmaria Beretta, Dante Benini, Paolo Garretti, Simone Micheli, Amedeo Schiattarella, Cino Zucchi, Massimo Pica Ciamarra, Fabrizio Rossi Prodi, Guido Canali si trovano tante sigle di società (i cui fondatori sono architetti spesso non meno noti che però preferiscono promuoversi con un “brand”): Design Group Italia, Piuarch, Open Project, Park Associati, Archilinea, Land Italia (specializzata nel paesaggio così come Ag&P Greenscape), Abdr, H&A Associati (nata dalla fusione di Hyd Architettura e ArkaAssociati), Ipostudio, Leonardo, Valle 3.0, Gtp (Gruppo Thema Progetti), Studio Transit. Infine, una novità in classifica: ATIproject è una start up che punta sulla progettazione integrata ed esecutiva senza troppo preoccuparsi dell’autorialità: occupa 120 giovani e ha il maggior tasso di crescita annuo (includendo filiali in Serbia e in Danimarca) delle top 150.