Fino al 6 gennaio 2019 l’esposizione veneziana restituisce il felice arcipelago del creativo che seppe tradurre relazioni ed esperienze uniche in una moda a portata di tutti
VENEZIA. Le erte ma non faticose scale di Ca’ Pesaro conducono al secondo piano dove campeggiano i bei versi tratti dalla raccolta Foglie d’Erba di Walt Whitmann:
Gli Iniziatori
Come a loro provvede la terra (su cui appaiono a intervalli),
Quanto cari e tremendi sono essi alla terra,
Come s’abituano a se stessi quanto agli altri-che paradosso appare il loro tempo,
Come la gente risponde loro, pur non conoscendoli,
e come, tuttavia, v’è sempre qualcosa di implacabile nel loro destino,
Come tutte le età sbagliano nello scegliere gli oggetti da adulare e premiare,
E come lo stesso inesorabile prezzo si deve pagare
per il medesimo grande acquisto.
Questo l’introibo alla mostra “Epoca Fiorucci”, in verità già preannunciata da pochi sapienti segni colorati che dall’ampio portego del palazzo, fronte Canal Grande, ci accompagnano nella salita. Una volta giunti al secondo piano, quello che si presenta al visitatore è un bellissimo salone classico che coesiste, quasi naturalmente, con un mondo sgargiante, allegro e sereno che sembra concepito giusto ieri da qualcuno colmo di visione, cultura, ironia e amore per la vita. Questo qualcuno è il signor Elio Fiorucci, grande maestro più che della moda vorremmo dire del costume e della cultura materiale che, a partire dagli anni Sessanta, scopre le grandi rivoluzioni londinesi del vivere e le traduce in un modo di essere a portata di tutti, con gusto italiano, mai banale e di disarmante semplicità e, possiamo ben dirlo ora a cinquant’anni di distanza, bellezza.
Una semplice teoria di tubi colorati attraversa lo spazio, lo costruisce e lo rende atto a mostrare abiti, accessori, immagini, alcune opere d’arte ma, soprattutto, a restituire un’atmosfera che sembra sempre aver abitato nelle eleganti sale del museo di Ca’ Pesaro e che, invece, vi è stata da poco allestita. La concezione della mostra, dovuta a Gabriella Belli e Aldo Colonetti con Elisabetta Barisoni, e quella dell’allestimento, di Studio Baldessari e Baldessari, vede, nelle sale laterali del grande salone, un luminoso “studio” affacciarsi sul Canal Grande con un lungo tavolo ove centinaia di oggetti posati sul piano dialogano con le istantanee lungo la parete e una creativa chaise longue nell’angolo, proprio come avrebbe potuto essere nel vero studio di Fiorucci, sempre pronto a cogliere le novità del mondo. Si prosegue con la “chicca” dell’allestimento ritrovato, disegnato negli anni Settanta da Sottsass Associati, per il negozio di Venezia e miracolosamente qui ancora esposto integro a testimoniare la qualità di un rapporto avuto dallo stilista-imprenditore ma soprattutto creativo-iniziatore, con gli architetti, da Sottsass appunto a Mendini, Branzi, Cibic, De Lucchi. Accanto agli architetti ci sono inoltre i fotografi, il rapporto di una vita con Oliviero Toscani, i grafici, gli artisti, come Andy Wahrol e Keith Haring, Jean-Michel Basquiat (di questi ultimi, due le opere presenti in mostra) che fanno di Fiorucci, come sostiene Colonetti, “una sorta di Marcel Duchamp non solo della moda ma, si potrebbe dire, nel modo di disegnare le cose, gli spazi, le relazioni tra l’oggetto e la persona”. Uno stilista che, forse prima di ogni altro, ha concepito i suoi capi e accessori come “estensione delle persone e della loro identità”. Capi e accessori che dovevano essere comunicati e rappresentati attraverso luoghi, narrazioni ed eventi concepiti grazie ai contributi dei creativi di tutte le arti.
“Liberi tutti”, dunque, come nel famoso motto, ma con un “arcipelago di legami, relazioni, di esperienze uniche” che fanno della visione del mondo di Fiorucci, sempre all’avanguardia, un messaggio che a decenni di distanza si mostra nella sua freschezza e validità, come dimostrato nell’esposizione veneziana. La prova di tutto ciò? Gli occhi della signora Floria, sorella di Elio, che ridono felici guardando gli spazi di Ca’ Pesaro che avrebbero potuto essere il più bel negozio di Fiorucci a Venezia, nel mondo.
“Le merci per Fiorucci non sono soltanto prodotti” afferma Gillo Dorfles nella conversazione con Colonetti del 3 febbraio e riportata in catalogo, “rappresentano valori, pensieri, relazioni, modi di vivere, e proprio in questo risiede la ragione della «permanenza» del suo lavoro, indipendentemente dal periodo storico e dal consumo degli stili, perché essere attuali vuol dire far prevalere il ruolo del «soggetto pensante» rispetto al risultato empirico. Si potrebbe affermare che Fiorucci ha fatto in modo che tutta la sua attività creativa non si consumasse nel proprio tempo, ma via via acquistasse una sorta di potere «ermeneutico» infinito”.
Epoca Fiorucci
A cura di Gabriella Belli e Aldo Colonetti con Elisabetta Barisoni
Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Santa Croce 2076, Venezia
23 giugno 2018 – 6 gennaio 2019
Progetto di allestimento: Studio Baldessari e Baldessari
Consulenza creativa e artistica: Franco Marabelli con Floria Fiorucci (Archivio Fiorucci)
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allestimenti , moda , mostre , venezia
Last modified: 26 Giugno 2018