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Written by: Città e Territorio Patrimonio

Ritratti di città. Se Atene fagocita il Moderno

Ritratti di città. Se Atene fagocita il Moderno

Report dalla capitale greca, dove lo sviluppo post-bellico, interrompendo il rapporto con il paesaggio, ha segregato architetture del XX secolo ora dimenticate o mutilate. E la strada verso il recupero è ancora lunga

 

ATENE. Se esiste un comun denominatore nell’architettura greca riconducibile al “Moderno” – pur nelle diverse accezioni e interpretazioni – è il rapporto con il paesaggio. Ma tale tipo di architettura – intessuta di rimandi territoriali, equilibri urbani e rapporti visuali – ha perso da tempo il suo naturale interlocutore: il contesto culturale e fisico in cui ha avuto origine e si è sviluppata. L’infinita ripetizione della medesima unità tipologica – la polykatoikia (la palazzina per appartamenti) – ha determinato una logica iterativa caratteristica dell’indifferenziato sviluppo post-bellico della capitale greca. Compromesse le relazioni urbane e i rapporti paesaggistici, le architetture di Atene moderna si propongono oggi come frammenti sconnessi, finestre aperte su un passato incomprensibile. Raccontano piccole storie: come l’immeuble bleu all’angolo tra via Arahovis e Thémistocléous, apprezzato da Le Corbusier. Primo immobile per appartamenti ad Atene realizzato seguendo i principi di Bruno Taut, progettato da Kyriakoulis Panayotakos con il pittore Spyros Papaloukas (1932-33), il suo colore, sbiadito, affiora ancor oggi ma l’edificio appare alterato e degradato. Talvolta, le storie sono invece più note, come nel caso della scuola Pefkakia di Dimitris Pikionis. Si tratta sempre però di dialoghi che cadono nel vuoto, rimandi di significato per lo più inascoltati. Georgios Kontoleon, con la stazione di servizio e showroom Ford (1936-37), realizza un grande portale d’ingresso cittadino lungo la Leforos Syngrou (l’antico tracciato di collegamento della città al mare: dal tempio di Zeus Olimpico alla baia del Faliro). La città però è successivamente debordata fuori dai suoi limiti, erodendo le architetture che ne configuravano i margini: la stazione appare oggi mutilata e irriconoscibile – così come la fabbrica Fix di Takis Zenètos, sulla stessa strada – nonostante rappresenti la memoria stessa del luogo.

Di fronte a tali condizioni di straniamento – aggravate dalle forti restrizioni finanziarie e dall’attuale crisi economica –, ogni volta devono essere innescati meccanismi di contrattazione della sopravvivenza per il riconoscimento e il recupero delle testimonianze del Moderno. Si possono annotare alcune esperienze positive, come il recente restauro della casa della scultrice Efthymiadouprogettata da Pikionis in via Grypari (1949) – ma si tratta di un contenitore ormai vuoto: privato della sua originaria funzione, sovrastato dalle incombenti dimensioni degli edifici adiacenti. Solo in rari casi un’adeguata sistemazione urbana permette un nuovo radicamento con il loro contesto più prossimo: è il caso, ad esempio, del progetto Pxathens, di Buerger Katsota Architects (2013), un’area giochi che ridefinisce l’accesso alla scuola primaria di Patroklos Karantinos (1931), sull’angolo tra via Kalisperi e Karyatidon. Diversamente, le condizioni di ri-significazione imposte dalle necessità richiedono di consueto patteggiamenti anche quando le opere mantengono un legame culturale attivo. Il teatro all’aperto sul monte Licabetto di Zenètos (1964-65) ha conservato la limpida impostazione tecnologica del paraboloide, sacrificando però la continuità delle sedute in legno – la “pelle” della struttura – all’aggiornata cromaticità dei sedili in plastica.

 

Aggiornamenti, riconversioni e abbandoni

Il caso di Zenètos dimostra come il prezzo dell’appetibilità turistica contemporanea stia orientando la trasformazione di Atene come meta di un consumo massificato, rivolto quasi esclusivamente all’Acropoli, l’Agorá e pochi altri luoghi simbolo dell’eredità classica. Non a caso le stesse architetture dell’Acropoli sono state reintegrate nelle parti mancanti e ricostruite. Ciò pone irrimediabilmente al margine un atteggiamento di fruizione più raffinata del patrimonio storico, sperimentato da Pikionis sul Filopappo (1954-57). La lettura topografica proposta alla chiesa di San Dimitrios Loumbardiaris appare mortificata e occultata dall’invadente vegetazione. Dalla terrazza delle Muse, deturpata in più punti, la visione oggi abbraccia un cantiere in evoluzione – l’Acropoli – in discontinuità con la storia dei luoghi. Queste delicate sistemazioni ambientali giacciono abbandonate ed obliterate dai consueti itinerari turistici.

Servirà davvero ad Atene il centro culturale firmato RPBW?: la domanda posta sulle colonne di questo Giornale da Maria Petinakis lascia emergere una questione di non poco conto e mai sufficientemente approfondita: «Ci si può chiedere se questa crisi non sia servita di lezione a nessuno. Quale sarà il destino degli edifici della Biblioteca nazionale e dell’Opera nel centro della capitale? Risulterà economicamente sostenibile un progetto così grande, cui fin d’ora sembrano mancare le risorse per il funzionamento? Ne aveva davvero bisogno Atene? O forse era meglio destinare risorse per la produzione culturale piuttosto che ancora ad uno spazio così grande? Interventi simili firmati da archistar servono a collocare Atene sulla carta internazionale per attrarre investimenti e visitatori». Il centro culturale della Fondazione Niarchos alla fine è solo l’ultima di una lunga serie di architetture imposte come “aggiornamenti” moderni di precedenti edifici che non sono mai stati riconvertiti. Andando a ritroso nel tempo, speriamo non sia lo stesso destino dell’originario Museo dell’Acropoli (Panagis Kalkos 1865-74; poi ristrutturato da Karantinos alla fine degli anni ’50), collocato accanto alle vestigia antiche e del tutto dimenticato – anche come testimonianza storica – dopo la costruzione del museo firmato da Bernard Tschumi e Michael Photiadis (2008). L’apertura del nuovo aeroporto internazionale in occasione dei Giochi olimpici del 2004, ha sancito l’abbandono dell’Ellinikon di Eero Saarinen (1959-63), inaugurando un lungo capitolo sulle sue ipotesi di recupero, tuttora aperto. La stazione marittima del Pireo (Yannis Liapis e Elias Scroumbelos, 1981-86), giace anch’essa imponente e abbandonata. Lo stesso dicasi per un numero consistente delle attrezzature sportive costruite in occasione dei Giochi olimpici, inservibili per l’alto costo della manutenzione e dalla problematica riqualificazione.

In questo quadro generale di architetture incomprese o dimenticate, appare difficile pensare ad un possibile recupero delle architetture moderne ad Atene quando la storia della loro trascurata, mancata od inadeguata riconversione funzionale si compone di esempi che arrivano ai nostri giorni. Senza poi considerare i progetti in corso. L’ambasciata degli Stati Uniti di Gropius e TAC (1959-61), il tempio laico della democrazia in marmo pentelico, si appresta a rinunciare al suo splendido isolamento: il progetto di restauro e ampliamento firmato dallo studio statunitense Ann Beha Architects prevede l’accostamento di un nuovo volume.

Casi studio

1_ L’architettura nascosta

La scuola elementare Pefkakia sul monte Licabetto di Dimitris Pikionis (1931-32), introduce una diversa attenzione nel rapporto con il paesaggio, inedita per il Movimento moderno. L’intero edificio si propone come emergenza visiva, un segno orizzontale che anticipa la sommità del monte Licabetto. Bianchi volumi di origine cicladica si oppongono alla scabra superficie rocciosa, ma il segno si stempera nella “ritmica del paesaggio”, adagiandosi sul pendio con un andamento gradonato. L’intero complesso si sviluppava secondo un andamento ascendente, dal basso verso l’alto: lo sguardo poteva spaziare lungo le pendici del Licabetto, apprezzare i volumi costruiti e traguardare, infine, la cappella di Agios Georgios, sulla sommità del rilievo. Oggi, il complesso è visibile solo dall’alto: la crescita urbana della capitale lo ha letteralmente fagocitato. La scuola giace quasi dimenticata, logorata dai segni del tempo: infestata dai graffiti e separata dal suo contesto.


2_ Il brutalismo addomesticato

Costantinos Doxiadis è noto per il suo studio sui coni visuali e i tracciati che hanno determinato la posizione dei templi sull’Acropoli di Atene. Per Doxiadis «l’architettura costruisce il paesaggio», esprimendo una dialettica sulla lunga durata, in continuità con il passato. Principi che informano anche la sua opera manifesto, la sede del suo ufficio sulle pendici del monte Licabetto (1955-1961). Si tratta di un complesso a vocazione pubblica che comprendeva anche strutture educative: un teatro, una biblioteca e la Graduate School of Ekistics. La facciata puntava sulla semplice espressione della sua struttura in beton brut: il trattamento rimandava al contempo al contesto mediterraneo e moderno. L’intero complesso è stato recuperato, trasformato secondo il progetto di riconversione residenziale One Athens, elaborato da Divercity (2014). L’intelaiatura strutturale, come una griglia iconica, incornicia adesso superfici in vetro, lastre di marmo e volumi estrusi che si espandono nell’ambiente circostante. Al posto della scabra pelle cementizia, una levigata finitura rimanda ad un approccio politically correct, più rispondente al gusto contemporaneo.


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3_ La facciata mutilata

Atene vista dall’Acropoli ha proposto nel tempo l’impronta moderna della fabbrica di birra Fix, una delle straordinarie architetture firmate da Takis Zenètos e Margaritis Apostolides (1957-1963). La lunga facciata (quasi 250 m) rifletteva i principi basilari del moderno, imponendo la presenza di un’astratta composizione per linee orizzontali, pronta ad estendersi all’infinito. Vero e proprio landmark urbano, la stessa ICOMOS ne attestava il valore richiedendone a più riprese la tutela. Nonostante tali raccomandazioni – dismessa l’attività industriale a fine anni ’90 – la fabbrica è stata mutilata nel 1995: demolita per quasi metà della sua estensione al solo scopo di realizzare un parcheggio. Quanto rimaneva è stato mantenuto come monolitica rovina, riadattata nel 2002 a Museo nazionale di arte contemporanea (EMST). Il nuovo assetto – ideato da Kalliope Kontozoglou Architects, 3SK Stylianidis Architects, Mouzakis Architects e Tim Ronalds Architects – risale al 2016.

Autore

  • Andrea Bulleri

    Dottore di ricerca in Progettazione architettonica ed urbana presso l’Università di Firenze, insegna composizione architettonica nella stessa università, alla Scuola di Ingegneria di Pisa e alla UFO University di Tirana. Fondatore nel 2007 del Florence Architecture Workshop (con F. Arrigoni e A. Boschi), laboratorio internazionale per il recupero di vuoti urbani, orienta le sue ricerche sul progetto urbano in contesti storici consolidati. Le ricerche attuali sono dedicate alla lettura critica dei processi di trasformazione e rigenerazione urbana nei Balcani occidentali

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Last modified: 20 Dicembre 2017