Il progetto per la Città della salute e della scienza di Novara lascia per ora nella nebbia l’originario Ospedale maggiore della carità
NOVARA. Due sono i progetti in itinere per la realizzazione del nuovo modello di edilizia ospedaliera voluto dalla Regione Piemonte: il Parco della salute, della ricerca e dell’innovazione di Torino e la Città della salute e della scienza di Novara. Per entrambi si prospetta un iter di realizzazione con la formula del partenariato pubblico privato, ai sensi di quanto previsto dal recente Codice degli Appalti, con un inevitabile allungamento dei tempi, dovuto all’entrata in vigore di quest’ultimo e alle imprescindibili modifiche dell’iter autorizzativo.
Nel caso novarese, l’attuale struttura è situata in pieno centro storico e concentra su un’unica area una stratificazione di edifici che risalgono a differenti epoche. Il nucleo originario dell’Ospedale maggiore della carità, nel luogo dove tutt’ora risiede, nasce solo nel 1625 quando il nosocomio viene portato all’interno della cinta muraria. La costruzione, che contemplava un cortile centrale intorno al quale si aprivano i più importanti locali per il ricovero dei malati, sorse su progetto dell’architetto Gian Francesco Soliva e già negli anni successivi si resero necessari ulteriori ampliamenti, su progetto dell’architetto Francesco Martinez, fra 1770 e 1789. Gli anni che passano tra la fondazione e il successivo intervento progettato da Alessandro Antonelli alla fine del XIX secolo, testimoniano anche un profondo cambiamento del senso della cura. Da attenzione per il malato, che viene accompagnato nelle fasi finali della sua esistenza, sostanzialmente grazie all’apporto della fede, a ricerca di guarigione attraverso il ricorso a metodi scientifici e medici.
È lecito affermare che, pian piano – e Novara mostra su un unico sito tutto il processo di trasformazione – l’architettura funzionale tende a sostituire l’architettura rappresentativa, e il contatto con l’ambiente urbano si perde, per evitare contaminazioni nocive. Risale all’inizio del XX secolo l’acquisizione dell’adiacente Istituto Bellini che porterà a 68.000 i metri quadri a disposizione del nosocomio, occupando una parte importante del quadrante meridionale del centro storico, accompagnato da un piano generale di sistemazione del sito che introdurrà la tipologia a padiglione. Nei 50 anni successivi, attraverso l’aggiunta di parti necessarie, l’area assume le sembianze attuali: all’immagine urbana e al suo carattere di istituzione civile subentra quella di una sempre più produttiva macchina da cura, sostituendo gli spazi di pertinenza del progetto di inizio Novecento con una serie di edifici funzionali e tecnico-impiantistici.
È a fronte di questo complesso di edifici e parti tecniche che, a partire dal 2004, si è sviluppato il dibattito sulla necessità di chiusura del sito, con contestuale progettazione di un nuovo polo sanitario per la città, in un’area tra l’ex Piazza d’armi e lo svincolo della tangenziale, che vedrà il Comune impegnato per diversi anni nelle pratiche urbanistiche propedeutiche al progetto, e un partenariato, costituito da Regione Piemonte, Città di Novara, Università degli Studi del Piemonte Orientale e Azienda Ospedaliera, riflettere su opportunità e criticità di un nuovo percorso progettuale.
La nuova Città della salute e della scienza di Novara, che vede coinvolti per la progettazione Studio Altieri, Benedetto Camerana & Partners, RPA Srl, Manens-Tifs ingegneria Srl, Studio Ad, pur accennando alla necessità non solo di configurare il nuovo sito ma di definire le nuove destinazioni d’uso per il complesso di edifici che costituiscono l’Ospedale maggiore della carità, non sembra ancora aver raggiunto il necessario grado di maturazione, indispensabile all’individuazione di chiare scelte di riuso. Ripensare il destino della sede ospedaliera storica significherebbe, per Novara, il più grande intervento urbanistico del nostro secolo, portatore d’impatti economici ma soprattutto culturali, determinanti per assicurare un futuro sostenibile alla città e ai suoi abitanti. L’accordo di programma che accompagna la definizione del progetto del nuovo polo sanitario non ha ancora sciolto il quesito sul futuro di questo spazio che probabilmente non potrà prescindere da un piano strategico che focalizzi sulla visione che la città vuole darsi come obiettivo per i prossimi anni e che coinvolga non solo i soggetti direttamente interessati nel nuovo ospedale ma che sappia allargarsi alle altre forze cittadine in grado non solo di trasformare ma anche di gestire tale luogo. Che rappresenti, in una parola, la comunità di cui l’istituzione ospedaliera è stata, nei secoli, espressione di accoglienza, spirito civico e carità. Evitando così le criticità già registrate in altre città piemontesi come ad Asti o, più recentemente, a Biella, dove a fronte dell’apertura del nuovo ospedale, il vecchio giace inutilizzato e senza progetti di riuso; o come nel caso di Vercelli dove, con fatica, l’attuale trasformazione sta vedendo la luce dopo circa 50 anni di abbandono.
Per saperne di più sul progetto Hospitalia
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rigenerazione urbana
Last modified: 31 Maggio 2017