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Sofia NanniniWritten by: Reviews

Che volto ha l’architettura urbana

Che volto ha l’architettura urbana

All’Urban Center di Bologna una mostra, prodotta dal Dipartimento di Architettura dell’Università, indaga le tessiture verticali delle facciate attraverso plastici, interviste e video

 

BOLOGNA. C’è molta Milano nella mostra “Facies – architetture urbane: il volto tridimensionale dell’architettura” (a cura di Francesco Gulinello e Elena Mucelli, del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna). La Milano della ricostruzione, in cui la distruzione di interi lembi di città veniva riscattata da un disegno che anche alla scala di dettaglio, recuperava tutti i fili e ricostruiva un ordine. In mostra (in scala 1:25) sono le tessiture di Giò Ponti, Luigi Caccia Dominioni, Carlo Perogalli, Luigi Figini e Gino Pollini, quando la parete era il riverbero di un nuovo carattere intrinseco all’architettura, lungi da ogni rigore meramente formalista.

Nella storia, poi, la facciata, da monumento è divenuta manifesto e quindi membrana, a regolare in molti modi i rapporti tra dentro e fuori, interno ed esterno, spazio aperto e spazio protetto. Così la mostra si allarga al contemporaneo e deroga ai confini italiani considerando (in scala 1:100) l’opera di Rafael Moneo, OMA e altri protagonisti dell’oggi.

All’Urban Center, i bei plastici di queste facciate, realizzati dal Laboratorio Modelli (LaMo, coordinato da Davide Giaffreda e Marika Mangano) del Dipartimento di Architettura, si fronteggiano astratti dal loro contesto, disegnando nella lunga e stretta galleria una sezione stradale utopica, di affacci inconsueti e architetture in dialogo. Non è uno spazio per «definire, spiegare o trarre conclusioni» – lo spiegano bene i curatori – «piuttosto per suggerire associazioni, analogie, contrappunti e opposizioni». «La visione ortogonale», afferma Mucelli, «costringe la figura a riappropriarsi delle geometrie che l’hanno definita attraverso il processo generativo della forma». L’isolamento proposto è tanto dal contesto, quanto dai materiali e dai relativi colori, per un’uniforme rappresentazione diafana che privilegia il gioco delle ombre e che finisce per garantire a questi quadri architettonici «un’autonomia dal soggetto rappresentato», oltre il fatto di esserne effettivamente rappresentazione. Il continuo alternarsi tra «la conoscenza offerta dal modello e quella ottenibile attraverso l’esperienza» permette di comprendere i frammenti e le variazioni dei singoli tratti architettonici, rivelando – come afferma Cino Zucchi – «il fascino del “quasi uguale”» che ha caratterizzato la ricostruzione di molte nostre città. Tuttavia, studiare il volto con cui le architetture si mostrano alla città non significa solo rimanere sul piano verticale: come il viso umano, il disegno delle facciate è ricco di «bassorilievi», precisa Gulinello, con giochi di chiaro-scuro determinati «dai volumi e dalle ombre» che «rivendicano il ruolo dello spazio», del vuoto abitabile, il primo elemento dell’architettura.

Accanto a queste rappresentazioni materiche e tattili di volti d’architetture, la mostra offre contributi video con interviste (a cura di Matteo Sintini) a Maria Vittoria Capitanucci e Orsina Simona Pierini, per stimolare riflessioni sul ruolo del modello nel progetto e nella lettura dell’architettura costruita. Conclude l’esposizione il video Urban Transitions (a cura di Stefania Rössl), che – giocando sul contrasto tra la fissità della videocamera e il dinamismo della città – mostra nel contesto urbano alcune delle architetture milanesi rappresentate con modelli, sottolineando la diversa percezione che si ha, nel quotidiano, degli oggetti architettonici che ci circondano e che rappresentano lo sfondo delle nostre vi(t)e.

Aperta fino al 13 maggio 2017, la mostra è parte delle attività promosse dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna per la divulgazione delle discipline del progetto ed è accompagnata da una pubblicazione edita da LIStlab.

 

Autore

  • Sofia Nannini

    Dottoranda in storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino, dove svolge ricerche sulla storia dell’architettura e della costruzione in Islanda tra Ottocento e Novecento.

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Last modified: 18 Aprile 2017