A celebrare l’architetto a cento anni dalla prematura scomparsa, anche un romanzo di Gianni Biondillo che ne racconta la figura ricostruendo fatti, figure e luoghi della sua storia
“Noi architetti moriamo vecchissimi, non lo sapevi?”. Lui, in realtà, è morto giovane, a 28 anni, ucciso da quella guerra che prima aveva voluto e cercato, poi subìto come milioni di giovani europei. “Ad Antonio questa cosa della guerra proprio non andava giù. Malediceva il governo, malediceva la patria. Poteva anche capire le ragioni degli irredentisti e quelle degli interventisti. Ma non le condivideva. Una guerra è una guerra. Aveva compiuto da neppure un mese ventisette anni, porca puttana!”.
Lui è Antonio Sant’Elia, l’architetto futurista, una meteora luminosa nel cielo dell’arte italiana di inizio Novecento.
A raccontare la sua storia – un romanzo che centra l’obiettivo su una persona ma che intercetta fatti, luoghi e figure che hanno segnato la storia – è Gianni Biondillo, scrittore oltre che architetto. Il suo Come sugli alberi le foglie, pubblicato da Guanda in occasione del centenario della morte di Sant’Elia (Monfalcone, 10 ottobre 1916), è una sequenza di scene, tumultuosa come gli anni che narra. Un percorso non lineare né cronologico, con continui salti temporali, e in parte anche logici, teso tra due poli: da una parte la guerra; dall’altra la nascita di un modo diverso e moderno d’intendere l’architettura.
Sant’Elia è il perno di questo gioco, fatto di rimandi e rievocazioni, che non rinuncia ad alcune evasioni, e inevitabilmente a qualche fantasia letteraria. Biondillo dipinge con leggerezza un ragazzino (la prima scena, quella che apre il libro, è del luglio 1899: la visita all’esposizione voltiana di Como è il primo contatto con un mondo in evoluzione) che facendosi uomo non solo attraversa le trasformazioni più radicali (“Tutto cambia così in fretta. E noi, proprio noi, ci siamo in mezzo, a questo cambiamento”, gli fa dire l’autore, mentre Sant’Elia visita un’altra grande esposizione, quella milanese del 1906) ma se ne fa interprete e le condiziona. Con i progetti realizzati (pochi in realtà, e tutti improntati a un certo pragmatismo) e con i rivoluzionari disegni della Città nuova, che stupiscono la cultura milanese, e quindi quella italiana. E che gli valgono l’ingresso nella cerchia del futurismo capeggiata da Tommaso Marinetti. Un’adesione per nulla acritica, anzi spesso distaccata e dubbiosa, che lo porta perfino a criticare il Manifesto che lui stesso ha firmato: “Ma ti pare? Sono cose di Marinetti e di Cinti. L’architettura è una roba seria, solida, non è mica effimera come una scenografia”.
A fianco dei movimenti artistici e culturali c’è la politica, che in quegli anni significa quasi essenzialmente guerra. Una buona percentuale delle 46 scene di cui si compone il romanzo (diviso in 5 parti, con un epilogo finale) sono ambientate sulle montagne venete, trentine e friulane, nelle trincee che diventano, proprio grazie alla composizione diacronica del romanzo, punti di osservazione di una tragedia collettiva. Dove compaiono, come fossero figurine di un album, Cesare Battisti e Gabriele D’Annunzio, Benito Mussolini e Giuseppe Pagano, Umberto Boccioni e un piccolo Giuseppe Terragni.
Il tutto in un’atmosfera rarefatta e capace di sorridere e di fare sorridere anche di fronte alle disgrazie più grandi. E alle opere più sensazionali. Come nei pensieri che Biondillo attribuisce a Carlo Carrà davanti ai disegni di Sant’Elia, che ben sintetizzano il doppio binario che segue il romanzo, sempre in bilico tra arte e vita, tra volontà e destino: “Conosceva personalmente insigni architetti, i più moderni, i più influenti della nazione. Ma una cosa così, questi volumi puri che si intersecavano, che costituivano architetture di una modernità inimmaginabile, questi sguardi nuovi, nuovissimi, questi sguardi verso una città tutta ancora da costruire, eppure già chiara nell’immaginazione di quel rumoroso colosso comasco riverso sbronzo sul divano, lui una cosa così non l’aveva mai vista in vita sua”.
Gianni Biondillo, Come sugli alberi le foglie, Guanda, 2016, 352 pagine, € 18,50
Milva Giacomelli, Ezio Godoli, Alessandra Pelosi (a cura di), Il manifesto dell’architettura futurista di Sant’Elia e la sua eredità, atti del convegno (Grosseto, 2014), Casa editrice Universitas Studiorum, Mantova 2014, 268 pagine, € 22
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antonio sant'elia , libri
Last modified: 7 Dicembre 2016
[…] Parla di Roma anche il romanzo storico, ma con i piedi ben piantati nella realtà, di Melania Gaia Mazzucco. L’architettrice (Einaudi) è ispirato alla vita di Plautilla Briccia (con la a finale nel cognome, come amava firmarsi), vissuta a Roma tra 1616 e 1705, ritenuta la prima architetta italiana e forse dell’intero Occidente. Il titolo intanto: non un’invenzione dell’autrice, bensì un arcaismo per declinare il ruolo al femminile, nonché il termine con cui si designava la stessa Plautilla. Dopo un lungo apprendistato come pittrice presso il geniale padre Giovanni Bricci (talento multiforme, anche poeta, drammaturgo e musicista), arriva tardivamente all’architettura, attraverso l’apprendimento in proprio della statica e delle altre discipline propedeutiche al costruire. La sua vicenda personale viene raccontata in sezioni di circa un decennio, con il triste epilogo della sua opera maggiore, la villa al Vascello presso porta San Pancrazio (poco distante dai luoghi narrati nel libro di Pecoraro). La villa (nell’immagine di copertina; fonte: ALOA – Associazione culturale Ordine architetti Roma) è uno dei teatri dell’assedio dell’estate 1849 da parte delle truppe francesi, per far rientrare in città papa Pio IX, fuggito con la proclamazione della Repubblica Romana. I resti della villa sono, dal 1983, sede della massoneria del Grande Oriente d’Italia. Frutto d’un approfondito studio iniziato nel 2002 [qui l’elenco delle fonti], il libro è al contempo colto per i riferimenti storici e la ricerca sulla lingua seicentesca e popolare per il racconto della storia della famiglia Bricci, che aveva origini modeste, e per quello della travagliata storia d’amore di Plautilla con l’erudito e facoltoso abate Elpidio Benedetti, figura di spicco della curia. Oltre a ritrarre un’esemplare figura di donna emancipata, il volume prosegue il percorso di Mazzucco tra le biografie d’artista. Ricordando, in tale direzione, il lavoro di un altro architetto-scrittore, Gianni Biondillo, nel romanzo dedicato ad Antonio Sant’Elia. […]