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Written by: Forum

Trieste: per il Porto vecchio, una cittadella dei migranti

Trieste: per il Porto vecchio, una cittadella dei migranti
Pubblichiamo una lettera che alimenta il dibattito sul destino del comparto di Porto vecchio a Trieste

 

Stimolati dalla lettura degli articoli Sull’uso politico della memoria, tra consumismo e tragedia, e Trieste, il Porto vecchio ricomincia dall’advisor, desideriamo intervenire, come libero contributo d’idee, sul recupero del Porto vecchio, preoccupati che l’atteso Piano strategico possa anch’esso generare quel gap, fra l’area dismessa e la città, già osservato sui progetti che nel tempo hanno interessato l’area e che ci sono sembrati tutti “fuori scala”. Da qui il nostro progetto «Trieste – un sogno» che attiva, per l’indagine urbana, parametri quali riuso, cura, felicità e bellezza riportando in un’altra ottica l’utilizzo dell’area – parametri da confrontare, in rapporto dialettico, con quelli classici.

Che il Porto vecchio di Trieste sia sofferente di «un isolamento che ha staccato l’area mentre il resto della città nel frattempo si modificava, rendendo questo pezzo a sé stante alieno dal contesto» è quanto scrive anche Gabriele Pitacco in un saggio che culmina nella seguente diagnosi: «Per questo la misura diventa il mezzo attraverso cui conoscere e capire quale brano scrivere all’interno di quest’area». Ma quale metodo di misura migliore che la propensione alla flȃnerie per conoscere e immaginare, convinti che il paesaggio urbano è un valore estetico percepibile «in modo discontinuo attraverso spostamenti» necessari alla «ricerca della forma del divenire», e i segni dispersi dalla storia diventano tracce che orientano il processo creativo: dalla preesistenza al progetto.

Così «Trieste – un sogno» ha preso corpo dal sistema di relazioni sensoriali percepite a contatto con il luogo e la città intera. È nato incontrando quasi per caso il Porto vecchio, un luogo (la sua separatezza, la varietà degli edifici, le grandi strade, gli affacci al mare) già configurato come piccola città che esprime una precisa vocazione: quella di essere abitato. Mancano solo gli abitanti.

Si potrebbe riconvertire il Porto vecchio a Cittadella per ripopolarla anche di stranieri. «Tutti abbiamo bisogno della terra ferma sotto i piedi, di acqua e cibo, di protezione». Una Cittadella europea con oltre 5.000 migranti, integrati dalla compresenza attiva della cultura con l’impegno di capire/elaborare il fenomeno immigrazione, un’esperienza-sfida per garantire a Trieste un civil future; una scelta urbanistica che si sposta dall’ipotesi «costruire-distruggere-costruire (piano oggettuale) a recuperare-trasformare-ridistribuire (piano etico-pratico)» quale rielaborazione del «lutto ambientale-sociale, cifra dell’epoca» per trasformare «l’inabitabilità dell’attualità in ospitalità a venire».

L’immagine emoziona, perché il sogno non è reale ma rivelatore. Ci prefiguriamo un luogo in cui l’intensità delle relazioni derivanti dalla varietà sociale e culturale, pur nel rischio della conflittualità, riveli la bellezza del fluire della vita, perché la bellezza di una città è felicità espressa. È un’operazione concepita sul recupero della dimensione “formale-percettiva” che corregge le indicazioni astratte dei piani regolatori e che ipotizza il progetto come cura e recupero, in opposizione all’idea per cui progetto e distruzione si congiungono attraverso la tabula rasa come rinuncia all’idea di città luogo dell’abitare, per sostituirla con quella del luogo del benessere tout court riproponendo l’equivoco benessere=felicità. Ipotesi fuorviante per dare forma felice al territorio.

 

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Last modified: 18 Luglio 2016