Ai giardini della Biennale, il padiglione serbo suggerisce la presenza di un vascello fantasma dallo scafo blu o meglio della sua scia, spazio vuoto dove non è in mostra alcuna architettura ma dove il visitatore è chiamato a meditare sull’architettura e soprattutto ad immaginarla nelle sue molteplici libere declinazioni. L’intento è arduo ma chi vi riesce è un eroe, sembrano suggerire i curatori. Aiutano lo spazio vuoto – ci si può sedere ovunque nello scafo – e il colore blu, effetto ovattato. Seduti a terra, tramite delle prese di corrente di cui lo scafo è dotato, si può accendere il computer, il telefonino e utilizzarli digitando… simulando così il lavoro dell’architetto, per il quale di per sé servono poche cose, bastano una presa di corrente e un computer. Tuttavia c’è un ma… Poichè a fronte di questa semplicità apparente della professione vi sono, all’ingresso della mostra, delle pile di lettere, digitate con quegli stessi computer, che rappresentano altrettante candidature di lavoro con altrettante risposte negative o inevase, sempre le stesse; un oceano di lettere perse nel nulla.
Lo spazio blu è riempito da suoni che vogliono riprodurre l’alternarsi del digitare dei comandi della tastiera e del mouse. Ogni comando digitato diventa una figura ritmica separata, rapida o lenta, morbida o dura. Tenendo presente che la conferma di ciascun comando è il tasto “spazio”, il più grande sulla tastiera, attivato dal pollice, questo dà il ritmo e lega le figure sonore individuali in frasi ritmiche. Questi elementi sono utilizzati per comporre la struttura del paesaggio sonoro. La sua base è l’atmosfera acustica passiva del padiglione, sulla quale è stata eseguita un’orchestrazione di effetti. La stratificazione del paesaggio sonoro contribuisce alla “spaziosità” dell’esperienza sonora.
Tutto ciò che vi racconto non è frutto di un’immediata comprensione dei contenuti del padiglione; ho dovuto leggerlo sul comunicato stampa, perché altrimenti i suoni percepiti sarebbero stati a me sconosciuti e incomprensibili, dei semplici rumori. Dunque non appartengo alla schiera degli eroi e, per dirla tutta, l’unico pensiero che ho avuto è andato alle imbarcazioni di profughi che solcano i mari – non sempre blu – in cerca di libertà, e non sapevo se gioire o essere triste per quello scafo vuoto, simbolo di quelli che ce l’hanno fatta, ma anche di quelli che in quel blu sono scomparsi.
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allestimenti , biennale venezia 2016 , reporting from the front
Last modified: 23 Giugno 2016
[…] lasciato dalla chiglia di una nave, il resto è vuoto. Lo spiega molto bene Laura Ceriolo in un suo articolo, quindi non mi dilungherò […]