VENEZIA. Ai curatori va innanzitutto il merito di avere riaperto il padiglione dopo averne promosso il finanziamento del restauro per riportare allo stato originale questa prima opera veneziana di Carlo Scarpa (1953-56) che versava da anni in uno stato di pietosa incuria, con infiltrazioni di acqua dal soffitto e conseguente ammaloramento dei materiali. Le finestre sommitali del padiglione e la fontana al suo ingresso sono state riaperte con un intervento che ha visto la partecipazione attiva degli stessi curatori. Nulla di nuovo per loro.
I quindici interventi che la mostra «Fuerza Urbanas – Forze Urbane» raccoglie da otto città del Paese, tra micro-chirurgie e più ampie trasformazioni di spazi pubblici, sono l’esito progettuale ed anche costruttivo dell’intervento di forze popolari che, usando l’architettura come strumento, stanno rivitalizzando ambiti marginali di forte conflittualità sociale.
Attraverso workshop aperti, il gruppo curatoriale è stato l’attivatore di processi che hanno innanzitutto raccolto in un percorso di consapevolezza identitaria e progettuale le comunità locali, quindi coinvolto più di 100 architetti in tutto il Paese, infine bellamente saltato la fase di assegnazione alle imprese, perché alla costruzione hanno sovrinteso le medesime comunità istruite questa volta nel ruolo di carpentieri. Questo iter ha rafforzato negli abitanti l’appartenenza ai luoghi, sottraendo dalla marginalizzazione spazi residuali della città informale e giungendo anche a mettere a nudo gli elementi per una possibile nuova tassonomia dell’architettura sociale, costituita di piani, intersezioni, schermi, elementi leggeri e componibili la cui aggregazione è capace di suggerire un nuovo profilo identitario ai luoghi di questi “Barrios populares”.
Un giardino a scacchiera organizza l’indice degli interventi in ordinata ponendo in ascissa le categorie di lettura a tutti comuni (e dunque da sinistra a destra: Sintesi, Costruzione del Paesaggio, Politiche Territoriali, Architettura come sostegno, organizzazione collettiva e democratizzazione dei saperi).
Così cresciuti tra le pieghe di ciascuna comunità, i quindici progetti presentano complessità e singolarità che impediscono una puntuale disamina di ciascuno. Diamo qui voce solo ad alcuni, a partire da “La nube” di Proyecto Colectivo, a Caracas (Barrio 70) perché, grazie a questo progetto, ora dalle periferie è possibile vedere il centro della città, sfruttando l’altezza di uno spazio libero su cui è stata tessuta una struttura blu a creare così una connessione visiva tra centro e periferia. A una scala più vasta, segnaliamo la “Nave multiprograma”, ancora a Caracas di LAB.PRO.FAB/L Maquina publica che questa volta utilizza lo scheletro di un capannone abbondato, dandogli nuova visibilità urbana con sgargianti pannelli rossi a fori circolari, a circoscrivere un complesso polifunzionale pubblico a scopo sportivo e ricreativo.
Il giardino dei progetti, come ci permettiamo di chiamare questa installazione, concede diverse “finestre sul mondo” che poi diventano anche effettive connessioni virtuali nella seconda sezione della mostra, dove una serie di monitor e telecamere concedono a Venezia di vedere in tempo reale i nuovi spazi di comunità e a questi di partecipare a loro modo della Biennale e dell’esposizione del padiglione.
Immagine in evidenza: Nave multiprograma a Caracas
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Last modified: 28 Maggio 2016
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