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Pietro ValleWritten by: Città e Territorio

Friuli 40 anni dopo: una memoria problematica

Friuli 40 anni dopo: una memoria problematica

Riflessioni sulla ricostruzione, a margine di una mostra che celebra il 40° anniversario del terremoto del Friuli Venezia-Giulia

 

Il 6 maggio ricorre il quarantesimo anniversario del terremoto che sconvolse il Friuli nel 1976, causando più di 1.500 vittime e innescando un processo di ricostruzione che cambiò definitivamente la forma del territorio.

Una serie di manifestazioni celebrano l’evento nei luoghi teatro del sisma: solo poche, tuttavia, cercano di fare il punto sulle conseguenze di quell’esperienza in una prospettiva storica di lunga durata. Come altre, anche la grande mostra istituzionale “Memorie: arte, immagini e parole del terremoto in Friuli”, promossa dalla Regione Friuli Venezia-Giulia e ospitata a Villa Manin di Passariano (Udine, fino al 3 luglio), si lascia prendere la mano dalla retorica celebrativa, alternando contributi eterogenei di curatori diversi che non riescono a coagularsi in un discorso unitario. Si passa dalle curiosità documentaristiche (il ruolo dei giornalisti in prima linea durante l’evento con i cinegiornali dell’epoca) a celebrazioni istituzionali (il ruolo della Soprintendenza nel salvare i tesori artistici), attraversando microstorie troppo specifiche per giungere a letture contemporanee dell’evento come quella compiuta da una selezione di giovani artisti che reinterpretano il terremoto con installazioni multimediali. A volte sembra che il sisma sia diventato un vuoto simulacro da rivampare con iniezioni mediatiche nella logica di una società dello spettacolo che coglie qualunque stimolo per teatralizzare il passato senza interrogarlo.

All’interno di questo incerto scenario, la sezione di architettura e urbanistica curata da Sergio Pratali Maffei, professore associato di Restauro all’Università di Trieste, brilla per approfondimento e sintesi, anche se costretta in uno spazio limitato. Pratali ha promosso un database in progress degli edifici della ricostruzione che consente di ordinare i singoli manufatti per luogo, tipologia, progettista e data. Presente su un computer consultabile dal pubblico, il regesto di Pratali è il primo tentativo di sintetizzare una vicenda complessa che si spera possa essere reso accessibile anche dopo la mostra. Ad esso si accompagna un saggio sul catalogo che cerca di dispiegare i diversi temi della ricostruzione senza pretendere di riassumerli in una sintesi unitaria.

Quel saggio può essere un utile punto di partenza per cercare di capire quali conseguenze l’onda lunga di quell’esperienza abbia lasciato sul territorio odierno. Se la ricostruzione in Friuli fu un successo, grazie a una legge regionale (la 63 del 23-12-1977) che prescriveva il rispetto delle strutture urbane preesistenti e un Commissario della Protezione civile (Giuseppe Zamberletti) che intuì il ruolo partecipativo dei cittadini dando ampio potere alle comunità, essa ha anche anticipato processi irrisolti di rapporto tra architettura e urbanistica, tra architettura e società, che pesano ancora oggi sul territorio friulano. Ne citiamo principalmente due.

La riedificazione dei centri storici non è riuscita a fermare la fuga nel privato e il Friuli ha visto spesso una doppia ricostruzione con l’esplosione suburbana di case unifamiliari a lato degli antichi centri ricostruiti, i quali sono rimasti semivuoti. Oggi, con l’invecchiamento dell’originaria popolazione e l’abbandono dei giovani, quest’eccesso di attività edilizia rischia di produrre ben due città fantasma, quella storica e quella recente.

La metodologia di ricostruzione dei centri storici attuata secondo le linee morfologiche degli antichi tracciati degli isolati non si è mai completamente sposata con un’interpretazione coerente dei linguaggi architettonici legati a quelle forme urbane. La riduzione degli elementi edilizi tradizionali ad “abachi tipologici” ha prodotto una caricatura del passato che maschera il nuovo in un finto storico e imbalsama i monumenti con restauri iper-filologici. Nel corso dei quarant’anni trascorsi dal sisma, quest’interpretazione equivoca che mescola l’analisi tipologica a derive pittoresche, è filtrata nei regolamenti edilizi dei comuni friulani, configurando una difficile situazione normativa per i progettisti che devono operare su un territorio sostanzialmente recente. Come scrive Pratali, la ricerca degli archetipi ha prodotto la caduta negli stereotipi e lo slogan del dov’era, com’era ha prodotto un dov’era, ma non com’era che lascia poco spazio a quell’opera d’interpretazione che ogni buona architettura dovrebbe compiere nei confronti del contesto esistente.

 

Immagine di copertina: una via ricostruita nel centro storico di Gemona, Udine (foto di Pietro Valle)

Autore

  • Pietro Valle

    Architetto, è nato a Udine nel 1962 e ha studiato allo IUAV a Venezia dove si è laureato nel 1987. Durante gli anni universitari ha collaborato allo studio di Boris Podrecca a Vienna. Dopo la laurea si è trasferito negli Stati Uniti con una borsa di studio Fulbright dove ha conseguito un Master alla Harvard Graduate School of Design nel 1989 ed è rimasto a lavorare per sette anni, collaborando agli studi di Emilio Ambasz a New York e Frank O. Gehry a Los Angeles. Rientrato in Italia, ha vissuto a Trieste dove ha lavorato con Carlini & Valle Architetti Associati e dal 2003 è tornato a Udine dove dirige lo Studio Valle Architetti Associati. Dal 1993 ha insegnato come Visiting Professor in università di architettura americane e europee, tra cui la Syracuse University, la Facoltà di Architettura di Ferrara, lo IUAV e l'Università di Udine. Ha pubblicato cinque libri: la monografia “Mecanoo, Pragmatismo Sperimentale”, l'antologia di scritti “00_arch.it papers”, il libro-intervista “Dan Graham, Half Square-Half Crazy” (con Adachiara Zevi), la raccolta di saggi “Alpe Adria Senza, paesaggi contemporanei a Nord Est” e “Limboland”.

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Last modified: 4 Maggio 2016