Cronache dalla città turrita, tra il nuovo arredo urbano osteggiato e il recupero di due teatri nel centro storico
BOLOGNA. Spinte e controspinte per il progetto dello spazio pubblico cittadino. Sulle nuove sedute a ornamento delle piazze bolognesi tanto è già stato il fragore della critica, da spegnere l’originalità di qualunque nuovo corsivo. Forse occorrerebbe procedere anticipatamente alla loro riabilitazione, non foss’altro per gli eventi che hanno saputo generare: il 16 dicembre scorso, per esempio, i nuovi inserti lapidei sotto le due torri sono stati il pretesto per una nuova epifania della goliardia che ha inscenato con un certo seguito una processione alla «Morte del Buon Senso», con tanto di posa di una corona di fiori (…le lapidi ci sono già). Le nuove sedute sono state anche l’occasione per confermare la sollecita premura di Vittorio Sgarbi per la città turrita, con un tweet all’indomani dell’installazione (10 dicembre) a deplorarne il risultato denunciando tanto l’insipienza degli amministratori quanto il silenzio complice di Italia Nostra.
D’altronde sotto le due torri e in Piazza della Mercanzia l’intervento replica acriticamente la porzione fallita dell’allestimento di piazza Verdi realizzato con cubi in granito nero che, appena installati (2012) iniziarono un pericoloso peregrinare notturno nell’area ad aggravarne il disordine a danno della pavimentazione, della loro stessa stereometria e delle improvvisate quanto temerarie manovalanze. Ma se là le sedute corrispondevano a una vocazione storica dell’area, nelle nuove sedi in cui vi si inciampa pare consolino solo un incomprensibile horror vacui dell’amministrazione, a «disordinare» (sotto il profilo cromatico, materico e geometrico) spazi già traboccanti di opportunità e significati.
Piuttosto che sulle stationes, meglio allora concentrarsi sugli assi del passeggio, rispetto ai quali Bologna tenta il raddoppio con un interessante progetto di recupero dei vecchi sottopassi di via Rizzoli (odonimo centrale della via Emilia), che introdurranno con caffè e gallerie espositive underground a uno dei più interessanti recuperi del moderno: il restauro e l’annunciata riapertura del cinema/teatro Modernissimo, fortilizio in cemento armato e decorazioni Liberty-eclettiche che Gualtiero Pontoni aveva disegnato nel 1914 al centro di Palazzo Ronzani sugli sventramenti novecenteschi della città medievale e che la comunità intellettuale coeva aveva allora mal digerito («come un croccante fortemente indigesto», aveva detto Edoardo Collamarini).
Il tempo tuttavia riesce a vincolare alla permanenza anche i risultati imperfetti. E se questo da un lato augura una rapida rimozione dei manufatti di cui s’è detto, dall’altro fa guardare con benevolenza a questo mastodontico edificio d’angolo, «pietra angolare del rinnovamento urbano di Bologna Moderna», come ha affermato Giorgia Predari che, con Riccardo Gulli, Giovanni Mochi, Maria Beatrice Bettazzi e Davide Prati compone il gruppo di consulenti del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna al progetto che lo scenografo Giancarlo Basili sta curando per la Cineteca di Bologna, capofila di un’operazione stimata in 3,5 milioni alla quale partecipa – con altri partner locali – per un importo di 700.000 euro in collaborazione con il Comune (1,5 milioni), Unindustria (333.000 euro) e quanti ancora vorranno accodarsi nella cornice di uno spazio concesso dalla proprietà (Emmegi Cinema srl) in comodato d’uso alla Fondazione Cineteca per i prossimi 49 anni. In controtendenza rispetto al noto refrain che vede l’abbandono di cinema centrali e storici per anonimi multisala in periferia, finalmente un cinematografo dimenticato sarà recuperato alla visione di pellicole d’autore, con tanto di buca per orchestrina ad accompagnare film muti: un’operazione forse possibile solo a Bologna, dove d’estate, in Piazza Maggiore, le poltroncine ordinate sul crescentone sono quelle della rassegna di film d’essai più partecipata d’Europa.
Sono invece i portici verso il santuario di san Luca a condurre all’altro teatro recentemente rinato nella sua storica sede, tra l’arco del Meloncello e la casa di riposo per attori drammatici «Lyda Borelli». Il Celebrazioni, sorto negli anni ’60 dalla collaborazione tra il sindaco Giuseppe Dozza e l’avvocato e commediografo Lorenzo Ruggi come risarcimento alla prosa dopo le distruzioni belliche, ha riaperto a ottobre con la nuova direzione artistica di Filippo Vernassa e Theatricon srl, dopo un intervento (800.000 euro per 5.000 mq) che ha restaurato l’originario involucro in uno spazio energicamente performante e funzionalmente aperto non solo come teatro ma come polo culturale versatile, specialmente dedicato alla prosa contemporanea e in dialogo con le nuove effervescenze culturali del territorio.
Se si guardano insieme gli improvvisi e generosi nuovi fermenti nel grembo intricato di questa città turrita, gli archi, le piazzette e i passaggi coperti emergono come la spina dorsale di un sistema di opportunità e significati che necessitano del vuoto per mostrare il loro equilibrio e che, forse per questo, bisognerebbe fare a meno d’invadere.
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bologna , restauro
Last modified: 12 Gennaio 2016