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Alba CappellieriWritten by: Design

L’uomo che conquistò l’America

L’uomo che conquistò l’America

Nel “meraviglioso” decennio tra la metà degli anni Cinquanta e il Sessantotto, quello in cui l’Italia costruiva il suo “miracolo economico”, Milano era l’epicentro della rinascita, il motore della ripresa e del benessere. Il mito del design italiano nasceva in quegli anni da un ristretto gruppo di progettisti e produttori che sperimentava insieme nuove visioni del mondo, colleghi politecnici ma soprattutto amici. Massimo Vignelli e sua moglie Lella erano tra questi, figure centrali del design e della vita meneghina. Lei, classe 1934, sorella di Gino Valle e figlia di Provino, unisce la determinazione friulana a un’eleganza principesca; lui, classe 1931, la curiosità onnivora a una simpatia guascona. Sono la coppia del design italiano: belli, pieni di talento e di voglia di fare. Nessuna meraviglia quando, giovanissimi, partono alla scoperta dell’America grazie a una fellowship presso il prestigioso MIT di Boston. Ci resteranno dal 1957 al 1960, anni in cui l’America era davvero l’altro mondo, il turismo non era di massa e il mondo del progetto era rigidamente diviso tra architettura, interni e prodotto. Massimo e Lella si muovono tra Boston e Chicago dove Lella lavora da SOM e Massimo ha una cattedra all’IIT, qui conoscono Mies ma soprattutto capiscono che i metodi e i processi del design italiano possono conquistare l’America, infrangendo le divisioni tematiche all’insegna di “Design is one” che diventa il loro motto.
Il visto di soggiorno scade nel 1960 e i Vignelli rientrano a Milano dove alla fine dell’anno aprono il loro studio con l’obiettivo di occuparsi di progettazione a 360 gradi: dalla grafica al prodotto, dagli allestimenti all’arredo. Nel 1962 Lella si laurea in architettura e nel 1965 Massimo fonda con Ralph Eckerstrom, Bob Noorda, James Fogelman, Wally Gutches e Larry Klein la Unimark, società di progettazione grafica e di comunicazione visiva con sedi a Milano, New York e Chicago. Il destino dei Vignelli torna a parlare americano e si radica definitivamente a New York dove nel 1971 aprono il Vignelli Associates. Portano a New York l’eredità metodologica del design italiano, la sua trasversalità, la capacità di guardare in prospettiva attraverso ambiti diversi, l’eleganza del vecchio continente. Sono i trait d’union per la fondamentale mostra al Moma su «Italy: the New Domestic Landscape» nel 1972 che fa conoscere agli americani il nostro design, lanciando il mito del Made in Italy nel mondo. Vestito di nero secondo il coté dell’architetto newyorchese ma con il vezzo italiano del bottone rosso, Vignelli codifica un’idea di design come “semanticamente corretto, sintatticamente coerente e pragmaticamente comprensibile”.
La grande mela ricambia facendone una powerful couple, osannata dalle multinazionali e dalle principali istituzioni americane come la Metropolitan Transportation Authority di New York per cui realizzano la celeberrima mappa della metropolitana e relativa segnaletica nel 1972. Vignelli lavorava con Bob Noorda a questo progetto fin dal 1968 per la Unimark ma la mappa definitiva arriverà nel 1972. L’ispirazione era la chiarezza della mitica London Underground map di Henry Beck del 1933 in cui le linee sono rappresentate da colori in modo da poter essere immediatamente individuate. La mappa di Vignelli per la metropolitana di New York ha una grande chiarezza concettuale ottenuta a costo di qualche “libertà geografica”, nel senso che non vi è una stretta aderenza alla morfologia urbana e alle distanze, cosa che se lasciava indifferenti gli inglesi, non fu capita appieno dagli americani.
Alla mappa per la metropolitana seguirono numerosissimi lavori dove il contributo dei Vignelli ha spaziato con pari efficacia dalla corporate identity (tra gli altri per American Airlines, Dupont, Ford, Ciba Geigy, Ciga Hotels, Cinzano, Artemide, il Senato degli Usa, Fratelli Rossetti, Poltrona Frau, Venini) al packaging per Bloomingdale’s, Barneys’s, Canon, Helle, Ibm, Perugina, Saks, dall’editoria con i progetti per Penguin Books, Feltrinelli, Fodor’s, Pantheon Books o Rizzoli ai negozi per Knoll, Artemide, Olivetti, Poltrona Frau; dalla comunicazione per i principali musei americani (dal Moma, il Children Museum e l’American Craft Museum di New York al Moca di Los Angeles) al Piccolo Teatro di Milano e al TG2, ai trasporti: oltre alla metropolitana di New York anche quella di Washington e la RER di Parigi, fino alla cabina della prima classe per Alitalia e gli allestimenti per aziende e musei in tutto il mondo.
Tutti i progetti seguono l’eleganza formale e la chiarezza compositiva perché, ripeteva spesso Massimo, “L’eleganza è ciò che ci guida verso le soluzioni migliori, quelle che vanno oltre i compromessi. L’eleganza non è uno stile ma il significato più profondo e l’essenza stessa del design”.

Vignelli è morto a New York il 27 maggio a 83 anni dopo una vita vissuta con eleganza e costellata di successi. L’unico progetto che non gli era riuscito di realizzare era, come dichiarò al «New York Times»: “Un sistema di identità per uno Stato, per esempio il Vaticano. Andrei dal papa e gli direi: Sua Santità, il logo va bene (con riferimento alla croce), ma tutto il resto va rifatto!”.
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Autore

  • Alba Cappellieri

    Professore ordinario al Politecnico di Milano, dove dirige il corso di laurea in Design della moda. Dal 2014 è direttrice del Museo del Gioiello di Vicenza. Ha dedicato al design e alle sue intersezioni con la moda numerose mostre e libri, ha partecipato a convegni internazionali e vinto premi e riconoscimenti, ma considera il suo maggior successo avere incuriosito i suoi studenti a scoprire le storie meno note ed evidenti del design, stabilendo connessioni e convergenze senza mai fermarsi alle apparenze.

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Last modified: 6 Luglio 2015