Visit Sponsor

Roberta ChionneWritten by: Reviews

La prima di Tschumi al Pompidou (ma in Italia viene stoppato)

La prima di Tschumi al Pompidou (ma in Italia viene stoppato)

Secondo Bernard Tschumi l’architettura non sono i tetti, le facciate, le finestre. L’architettura è innanzitutto un involucro e un modo di penetrarvi e di circolarvi all’interno. È proprio intorno al concetto di che cosa sia il tempo in architettura che ruota la mostra al Centre Pompidou, in cui sono presentati una trentina di progetti che spaziano dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Cina al Medio Oriente, tra cui il nuovo Parco zoologico di Parigi, già zoo di Vincennes, inaugurato il 10 aprile scorso. Curata da Frédéric Migayrou e Aurélien Lemonier, l’esposizione (aperta fino al 28 luglio, che presenta circa 350 documenti fra disegni, schizzi, collage e modellini inediti) ricostruisce cronologicamente sia il percorso intellettuale che progettuale di Tschumi, dai suoi lavori più teorici come i «Manhattan Transcripts», a quello che viene definito come il «passaggio all’atto» del Parco della Villette di Parigi negli anni ottanta, sino alle sue ultime realizzazioni. Come afferma lo stesso Tschumi, che si è occupato dell’allestimento della mostra: «Sono stato colpito dal fatto che alcuni temi tornino, come una spirale, senza che io me ne accorga».
La carriera di Tschumi, nato a Losanna nel 1944, ebbe inizio dopo lo spartiacque del ’68. In quegli anni di fermento e critica, l’architettura non godeva di buona reputazione, essendo vista come uno strumento di potere della grande finanza. All’alba della sua carriera, nel corso degli anni settanta, Tschumi si consacrò in primo luogo allo spazio e al movimento dei corpi, agli avvenimenti della città piuttosto che ai suoi edifici, perché «all’epoca evitavo di parlare di architettura, in quando la parola era troppo densa di precedenti e pregiudizi. Preferivo rimanere al margine», racconta oggi presentando la mostra di Parigi. La città, nella sua realtà di oggetto multiplo e complesso, era un soggetto affascinante da cui si poteva partire per un approccio alla progettazione non più considerato come un sapiente accostamento di volumi ma anche un modo di vivere, qualcosa che fa intervenire l’evento, l’azione, il movimento, il programma. «C’è un dialogo costante tra il concepito e il vissuto. E questo è stato il punto di partenza della mia ricerca». In quel periodo, il mezzo da lui prediletto era la scrittura, perché «l’architettura è una forma di conoscenza prima di essere una conoscenza della forma». E «Se vuoi cambiare qualcosa, cambia il modo in cui ne parli». Quale lingua usava l’architettura? È una domanda valida ancora oggi. Il suo metodo consisteva nell’annotare e documentare il movimento dei corpi nello spazio, l’azione, i conflitti. «I metri quadri riflettono spesso delle ragioni culturali, e io mi sono detto: anziché dare dei metri quadri ai miei studenti, darò loro degli estratti di testi». I suoi progetti sono la concretizzazione dei suoi studi sull’involucro e sul movimento. Tale concetto emerge con chiarezza confrontando due sue realizzazioni parigine apparentemente agli antipodi ma coerenti con la sua ricerca. Il parco della Villette, luogo concettuale in cui la natura è quasi del tutto assente, è stato concepito come uno spazio per gli umani, mentre lo zoo di Vincennes, con la sua natura ricostituita e un’animalità liberata, è un’«architettura per gli animali».
Invece, al di qua delle Alpi spira un altro vento. Pare infatti allontanarsi la concretizzazione del primo progetto italiano di Tschumi, quello del nuovo centro culturale di Grottammare (Ascoli Piceno), che il 30 aprile ha ricevuto un preavviso di parere negativo dalla Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche. Nelle intenzioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, committente dell’opera, il nuovo centro culturale è stato concepito non solo per riscattare un contesto ambientale compromesso da interventi discutibili, ma soprattutto per incentivare flussi turistici di qualità su un territorio depresso, atttraverso un progetto preceduto da un percorso partecipativo durato oltre un anno che ha coinvolto la comunità e le istituzioni locali.

Autore

  • Roberta Chionne

    Architetta e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica presso il Politecnico di Torino, collabora dal 2002 con “Il Giornale dell’Architettura”, di cui è redattrice dal 2007 al 2014, responsabile in particolare del settore cultura e degli inserti monografici mensili. Iscritta all'Ordine dei giornalisti, è autrice per centri culturali e riviste tra cui «Nigrizia», «Pagina99», «Cer Magazine» e l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini, con cui collabora dal 2001 al 2008 al progetto «Polonia tra passato e futuro», curando la sezione architettura della mostra «Costruttivismo in Polonia» (Bollati Boringhieri, 2005). Dal 2010 si occupa di progetti e autori africani che promuovono i valori della sostenibilità e della creatività, scrivendo articoli e saggi tra cui «Made in Mali - Cheick Diallo designer» (Silvana editoriale, 2011)

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 115 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 7 Luglio 2015