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Written by: Professione e Formazione

Una voce per Hans Hollein

Una voce per Hans Hollein

Curatore della sesta Biennale di Venezia nel 1996 e vincitore di numerosi premi tra cui il prestigioso Pritzker nel 1985, Hollein ha fondato tutto il proprio lavoro sulla ricerca di un rapporto interlocutorio con lo spazio e sulla considerazione dell’edificio come mezzo di comunicazione. Parallelamente all’attività professionale, che ha spaziato dall’architettura alla progettazione urbana, dai musei all’edilizia residenziale e commerciale, dai progetti pubblicitari al design, Hollein ha anche costantemente esercitato anche quella accademica, negli Stati Uniti e in Europa. Riportiamo di seguito per intero la voce (scritta da Sandy Heck e aggiornata da Roberta Chionne) che gli aveva dedicato il Dizionario dell’Architettura del XX secolo, curato da Carlo Olmo, nella seconda edizione pubblicata da Treccani nel 2004 su licenza di Umberto Allemandi & C.

Nato a Vienna, è tra gli architetti più importanti e influenti della seconda metà del XX secolo in Austria e in Europa. Può essere incluso in quella generazione di architetti che ha vissuto consapevolmente la crisi dell’arte moderna negli anni sessanta e contemporaneamente ha stabilito l’inizio dell’architettura postmoderna (nel senso più ampio del termine). Insieme con Gustav Peichl e Wilhelm Holzbauer appartiene alla «triade» dell’architettura austriaca del dopoguerra, sebbene la sua posizione debba essere considerata in modo leggermente diverso. Dopo essersi formato all’Accademia di arti figurative con Clemens Holzmeister ed essersi diplomato nel 1956, Hollein studia negli Stati Uniti e qui riceve i più importanti stimoli architettonici e artistici, che ne faranno uno dei pochi architetti austriaci presenti anche oltreoceano.
Hollein studia architettura e urbanistica presso l’Illinois Institute of Technology di Chicago (1958-1959) con Mies van der Rohe, allora all’apice della sua carriera, e infine in California, al College of Environmental Design, University of California, Berkeley, dove ottiene il Master of architecture (1960). L’ambiente americano – quello di Chicago con il suo territorio urbano contrassegnato dai grattacieli, e il paesaggio californiano della West Coast – ha una duratura influenza su Hollein.
Dal punto di vista architettonico, il pensiero di Mies e l’interesse per le nuove tecnologie e i nuovi materiali diventano l’altra importante fonte d’ispirazione per i suoi lavori. Confrontandosi con la Land Art, la Pop Art e le teorie artistiche postmoderne, all’inizio degli anni sessanta Hollein sviluppa numerosi progetti di pianificazione urbana e di design di oggetti. Espone con Walter Pichler i suoi progetti urbani nelle gallerie di Vienna e di New York, e con il manifesto «Alles ist Architektur» (Tutto è architettura) del 1966-1967 dichiara la sua volontà di inserire criteri artistici nel proprio lavoro di architetto: dalla progettazione di mobili alla costruzione di case, fino alla pianificazione urbanistica, intesa come urban design.
Negli anni tra il 1964 e il 1970 Hollein, con Peichl, Pichler e Osvald Oberhuber, è redattore della rivista di architettura «Bau». Sono di questo periodo anche numerose affermazioni sulla teoria dell’architettura: «Le definizioni limitate e le affermazioni tradizionali su ciò che l’architettura e su quali sono i suoi mezzi, hanno oggi largamente perso la loro validità. Oggi in certo qual modo tutto diventa architettura. All’ambiente inteso come globalità vanno il nostro interesse, i nostri sforzi e la ricerca dei mezzi che lo definiscono: dall’abbigliamento alla climatizzazione, dalla trasmissione televisiva all’abitazione. Non è solo un interesse in quanto oggetti per l’attività artistica, ma anche come ampliamento dei nostri mezzi espressivi e umani». Alla luce di questi principi diventano così comprensibili altre affermazioni di Hollein e la sua ampia attività: dall’architettura al design, dalla progettazione urbana all’edilizia residenziale, museale e commerciale; dai progetti pubblicitari al design di tessuti, gioielli, orologi, lampade, mobili per ufficio, come pure di oggetti in argento per il mercato dei consumi di alta qualità.
Con questa ambizione Hollein da un lato supera l’immagine convenzionale dell’architetto e dall’altro si riallaccia a una tradizione specificamente austriaca: quella dell’artista-artigiano «creatore», che modella tutti gli oggetti nel suo laboratorio (ad esempio Josef Hoffmann e le Wiener Werkstätte). Hollein va anche oltre, poiché cerca di rendere oggettiva la realtà soggettiva, artistica e tradizionale dei singoli oggetti, e di andare incontro alle nuove esigenze della produzione industriale attraverso la progettazione tanto di piccole serie che di prodotti di massa.
Il primo progetto realizzato da Hollein è una piccola struttura commerciale nel centro di Vienna, il negozio di candele Retti (1965), con il quale si concretizza per la prima volta il suo concetto di architettura globale: dalle insegne alla corporate identity, dall’architettura degli interni alla configurazione della facciata. L’ambiguità che caratterizza il minuscolo fronte della gioielleria Schullin (1972-1974), con la fenditura nel possente rivestimento marmoreo che si metamorfizza nell’apertura, diventa dichiarata ironia nel collage dei riferimenti iconici, dalla forte valenza simbolica, nel secondo negozio realizzato per la medesima committenza (1981-1982), o nelle realizzazioni degli interni delle agenzie di viaggio.
Il rapporto interlocutorio di Hollein con il paesaggio porta a una serie di importanti progetti. All’inizio degli anni sessanta spiccano in particolare le opere edilizie percorribili dall’esterno come se fossero paesaggi urbani artificiali: si veda tra l’altro il centro commerciale a St. Louis, nel Missouri (1963), la Wiedener Hauptstrasse a Vienna (1966), la sede per una banca a Vienna-Floridsdorf (1966-1968), la Bergkirche a Turracher Höhe (1974), come pure il Museo civico Abteiberg a Mönchengladbach (1972-1982). Proprio quest’ultimo èparticolarmente convincente per la sintesi che opera tra struttura edilizia transitabile dall’esterno e ambienti differenziati percorribili all’interno. Il transitare, inteso come movimento nello spazio, diventa un’esperienza di tipo particolare, che crea un nuovo rapporto fra il visitatore attivo del museo e l’oggetto museale passivo, tale da produrre una nuova relazione simbiotica. Questa transitabilità dell’architettura viene portata avanti anche in opere successive, come nella Volksschule della Köhlergasse a Vienna, dove un terreno urbano in pendenza viene occupato dalla struttura scolastica. I percorsi all’interno della scuola comunicano in permanenza, attraverso una serie numerosa di gradini, la sensazione di un movimento di salita e di discesa.
Accanto alle qualità spaziali, nell’architettura di Hollein è di particolare importanza la considerazione dell’edificio come mezzo di comunicazione, come sismografo. Gli architetti devono infatti anticipare le modificazioni che si svilupperanno nella società e nella cultura, così come devono applicare alla tecnologia costruttiva la ricerca di nuovi materiali. Hollein pone quindi l’architetto in un quadro di riferimento consolidato: quello di un artista globale che, in quanto «master builder», diventa responsabile della configurazione dell’ambiente. Questa concezione demiurgica informerà d’altronde le scelte operate nell’organizzazione della sesta Biennale di architettura di Venezia (1996), di cui Hollein è curatore.
Al museo di Mönchengladbach la critica ha attribuito ripetutamente il ruolo di opera-chiave. In effetti, qui Hollein non solo rivoluziona ogni approccio al dibattito sulla qualità dei musei in tutto il mondo, ma fornisce anche un nuovo sistema di segni simbolici intorno all’opera e al luogo che la ospita. Hollein parte infatti da una moderna concezione del tema dell’acropoli, intesa come una scultura nello spazio, in uno spazio percorribile e utilizzabile, che non per questo fa perdere all’edificio le sue qualità architettoniche essenziali. In modo analogo, ma con una maggiore aderenza oggettiva, Hollein progetta il Museo d’arte moderna di Francoforte, organizzato lungo un percorso intenzionale di scale e ponti, corridoi e rampe. Il museo stesso diventa un’esperienza spaziale percorribile, un’opera d’arte della quarta dimensione.
I lavori successivi di Hollein confermano questa linea interpretativa: l’edificio per negozi Haas-Haus a Vienna (1985-1990), il Banco Santander a Madrid (1988-1993), come pure il Museo di vulcanologia a Saint-Ours-les-Rochers nell’Alvernia, in Francia (1994-2002). L’atrio dell’edificio Haas rappresenta ancora una «ricerca dello spazio» ma i materiali utilizzati, le forme e le simbologie, contribuiscono a un’interpretazione metaforica della struttura. La facciata in particolare reinterpreta un elemento caratterizzante di Vienna, il gotico della cattedrale di Santo Stefano, e il suo aspetto «narrativo» ha provocato molteplici discussioni. Completamente diversa è la nuova sala del Banco Santander a Madrid, dove Hollein crea uno «spazio puro», chiaro e aperto, non appesantito dalle necessità della «narrazione» e vicino, per alcuni aspetti, a precedenti lavori: i progetti per una filiale della Zentralsparkasse e per le sedi del museo Guggenheim a Salisburgo e a Vienna, rimasti sulla carta.
La concezione architettonica di Hollein ha alla base la ricerca di una sintesi costruttiva tra tesi e antitesi, dove la tesi è rappresentata dalla forma pura o dalla materia più «vecchia» e l’antitesi dalla linea organica o dalla nuova materia. Questo percorso teorico viene approfondito attraverso l’attività di insegnamento sviluppata negli Stati Uniti, costantemente parallela a quella professionale. Dal 1963-1964 Hollein è visiting professor presso la Washington University e la School of Architecture di St. Louis; dal 1967-1976 è professore all’Accademia d’arte di Düsseldorf, e dal 1976 direttore del corso di diploma per il design industriale dell’Istituto per il design, presso l’Accademia di arti decorative di Vienna, dove dal 1979 dirige tre corsi di diploma in architettura.
A proposito del suo mestiere Hollein ha scritto: «L’attività dell’architetto è al tempo stesso lavoro di un singolo e di una squadra». E «l’origine dell’architettura è sacra. La necessità di costruire dell’uomo si manifesta sin dagli inizi con la costruzione di simboli sacri, con significato magico, sacro-sessuale. Un palo, un cumulo di pietre, un altare sacrificale scavato nella roccia sono le prime forme create dall’uomo con un significato e una funzione spirituale, sono architettura. La loro è una funzione puramente spirituale, magica, non hanno finalità materiali. Sono architettura pura, senza scopo». Ma «che cos’è l’architettura? Costruire. E che cosa rappresenta oltre il costruire? È un evento spirituale e sensoriale, un bisogno fondamentale dell’uomo. È il costruire fine a se stesso, astratto. L’architettura è una categoria spirituale concretizzata dal costruire, un segno del soprannaturale, un’idea inserita nello spazio infinito che manifesta la forza spirituale dell’uomo, la forma materiale del suo destino, della sua vita».
La materializzazione di questa filosofia trova un’espressione simbolica in uno dei suoi progetti successivi: il Museo scientifico-didattico realizzato nel Parco europeo del Vulcanismo, nella regione dell’Alvernia, in Francia. L’edificio, un cubo alto 22 metri rivestito di basalto scuro all’esterno e di lastre di metallo dorato all’interno, richiama esplicitamente l’immagine del vulcano. Dal 2000 progetta a Vienna le torri Porr, che recuperano gli immaginari delle proposte visionarie da lui elaborate negli anni sessanta per la capitale austriaca. Per la sua attività Hollein ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Reynolds Memorial Award (1966); il Bard Award for Excellence in Architecture and Urban Design, New York (1970); il Deutscher Architekturpreis (1983); il Grosser Österreichische Staatspreis (1983); il Pritzker Prize (1985); il Chicago Architecture Award (1990).

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Last modified: 7 Luglio 2015