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Written by: Inchieste

Assicurazione e prevenzione nel «piano Clini»

Le recenti «Linee strategiche per l’adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio» del Ministero dell’ambiente prevedono, come premessa alla strategia, un «Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici» da redigere entro il marzo 2013. Certo l’obiettivo temporale risentirà delle vicende politico-istituzionali in corso, ma, dato il vasto arco di azione del piano, sarebbe importante che il rapporto contribuisse a chiarire le sfumature di significato che possono assumere termini come rischio, vulnerabilità, pericolosità, esposizione a seconda che vengano utilizzati nel campo della difesa del suolo o in quello dei cambiamenti climatici o in campo sismico, ecc. Normative regionali e strumenti in materia di difesa del suolo o di governo del territorio creano talvolta alcune ambiguità in merito. Occorre invece aver ben chiari significato e relazione dei fattori determinanti il rischio per poterlo analizzare, valutare, ridurre e per stabilire priorità d’intervento. Nell’analisi del rischio è inoltre importante la visione sistemica non solo del territorio, già invocata dal comma 8 dell’art.65 del DLgs 152/2006 «Norme in materia ambientale», ma anche delle attività antropiche: occorre cioè considerare come l’organizzazione spaziale e funzionale dei sistemi di attività umane influisce su intensità e diffusione territoriale degli effetti diretti e indotti di eventi calamitosi.
La legge per l’assicurazione obbligatoria per la copertura dei rischi connessi agli eventi climatici estremi, prevista all’art.1 del piano, non può prescindere quindi da una corretta valutazione del rischio né essere alternativa agli interventi di prevenzione. La sicurezza del territorio è precondizione a qualsiasi investimento di risorse nazionali o estere e, come aveva sottolineato il ministro Corrado Clini presentando alla stampa il suo documento, le spese per la difesa del suolo e per la riduzione dei vari tipi di rischio rappresentano spese per l’infrastrutturazione funzionale alla crescita e allo sviluppo. Il risvolto positivo della politica assicurativa, come dimostrato nelle esperienze estere, è quello di sviluppare (da parte delle stesse compagnie assicurative, per limitare la propria esposizione in caso di eventi calamitosi) una domanda di interventi pubblici di prevenzione e di congruenti politiche di governo del territorio. Esistono però forti perplessità circa l’opportunità di avviare una politica assicurativa in presenza di una crisi economica e di una forte tassazione dell’edilizia. Forse potrebbe essere più accettabile una tassazione specificamente finalizzata alla realizzazione degli interventi di difesa del suolo (estesa alla piattaforma di contribuenti individuati tramite le analisi sistemiche sopra descritte), perché capace, rimuovendo o riducendo i pericoli, di valorizzare i beni esistenti e di attirare investimenti nel territorio.
Il divieto, previsto dal piano, di utilizzare a fini residenziali, produttivi per servizi o infrastrutture, le zone già classificate R4 (aree a rischio idrogeologico molto elevato), in attesa di misure preventive da parte delle competenti amministrazioni, pur essendo logico, reca elementi di problematicità nella gestione, in rapporto alle varie preesistenze in tali aree. Da tempo esistono ad esempio norme che obbligano al «trasferimento» degli abitati in frana (L. 445/1908) ma, sebbene le aree per il trasferimento siano state individuate, talvolta la popolazione ha continuato a vivere e lavorare nelle stesse aree a rischio, a realizzare sugli immobili interventi abusivi e non legittimabili, con peggioramento delle condizioni di sicurezza. Talvolta gli abitati abbandonati sono divenuti perciò un ulteriore problema. Non ci si può limitare alla vincolistica ministeriale, pur essenziale, occorre che le decisioni su eventuali trasferimenti comprendano parallelamente la regolamentazione dell’attuazione dei trasferimenti e la pianificazione delle aree liberate. Tra i beni esposti ai vari tipi di pericolo idrogeologico, il più importante è la vita umana, ma non possiamo trascurare i beni che qualificano gli insediamenti (edifici, infrastrutture, attività produttive, beni culturali e paesistici vincolati dal Codice dei Beni culturali o dalla pianificazione): a seconda del ruolo di tali beni nel contesto del sistema territoriale non sempre è conveniente, possibile o accettabile l’abbandono e la delocalizzazione di questi beni rispetto alla realizzazione di opere per la loro difesa. La strada maestra sembra essere quella da sempre indicata dall’Inu nelle sue proposte di legge: la copianificazione degli aspetti settoriali e di quelli del governo del territorio. Occorre considerare l’articolazione delle casistiche e, attraverso la copianificazione, decidere in modo partecipato interventi opportunamente combinati e calibrati di eliminazione o riduzione del pericolo, di diminuzione di persone e beni esposti al pericolo, di miglioramento delle caratteristiche che rendono quei beni particolarmente danneggiabili, in modo da contenere gli impatti sociali e salvaguardare i valori di infrastrutturazione, culturali, paesistici e identitari del territorio.

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Last modified: 18 Luglio 2015