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Written by: Inchieste

Software pirata e professionisti: la Cassazione dice sì all’utilizzo, ma a certe condizioni

Con una recente sentenza, il Tribunale di Bologna ha ribadito il principio, già affermato dalla Corte di cassazione, secondo il quale non è reato utilizzare software senza licenza sui pc dello studio, assolvendo così un architetto in possesso di copie «pirata». La decisione ricalca un’importante pronuncia della Cassazione (n. 49385/2009) che assolse un geometra dal reato di cui all’art. 171 bis della legge 633/41, che punisce: «a) chi abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore; b) chi, per trarne profitto, importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae». Fermo il fine di trarre profitto, la condotta si distingue tra la duplicazione abusiva del programma e la sua importazione, distribuzione, vendita, concessione in locazione o detenzione. La mera detenzione rileva solo se è a scopo commerciale o imprenditoriale, mentre la seconda ipotesi non rileva la duplicazione abusiva.
Fatta questa importante premessa, la Corte osserva che l’unica ipotesi di reato era l’utilizzo a scopo imprenditoriale. Il Tribunale, nel condannare il geometra, aveva ritenuto che l’uso dei programmi nell’attività libero professionale, pur non configurando scopo commerciale, non era equiparabile a un uso privato perché va qualificata come attività d’impresa, sia pure non gestita in forma societaria. Per la Suprema Corte, invece, «è erroneo equiparare l’utilizzo in un’attività libero professionale a un’attività imprenditoriale solo perché il primo utilizzo non potrebbe essere equiparato a quello meramente privato», in quanto «questo assunto si fonda su un presupposto che non corrisponde alla realtà, ossia che il legislatore abbia stabilito che esistono solo tre categorie di utilizzi: commerciale, imprenditoriale e meramente privato, con la conseguenza che tutti gli utilizzi non meramente privati debbano essere fatti rientrare in una delle altre due categorie. La realtà invece è che il legislatore, tra gli innumerevoli utilizzi possibili, ne ha individuati due (commerciale e imprenditoriale) che ha ritenuto meritevoli di sanzione penale. A tutti quelli che non rientrano in queste categorie la sanzione penale non sarà applicabile. Per quanto possa dilatarsi il significato della parola “imprenditoriale” in essa non potrà mai rientrare anche l’attività di un libero professionista che non sia esercitata nell’ambito di un’attività organizzata nella forma d’impresa». Non si possono confondere, per la Cassazione, l’attività imprenditoriale e quella libero professionale che sono distinte e disciplinate in modo diverso. «Imprenditoriale» è anche l’esercizio di un’attività di produzione di meri servizi, laddove esercitata «industrialmente» (articolo 2195, comma 1, n. 1 del Codice civile). E «tale contrapposizione non viene meno neppure quando l’attività professionale intellettuale è esercitata con l’aiuto di ausiliari o in forma collaborativa associata (articolo 2232 del Codice civile)». La Corte precisa anche che questa conclusione non contrasta con la sentenza dell’8 maggio 2008, n. 25104, in quanto non era stata affrontata la questione dell’equiparabilità della detenzione e utilizzo dei programmi in un’attività libero professionale all’utilizzo a scopo imprenditoriale. Da ultimo, i giudici affrontano la detenzione di programmi privi del contrassegno Siae, precisando che non è efficace per i privati (se duplicati abusivamente da terzi) l’obbligo della sua apposizione in quanto la mancanza del contrassegno è richiamata solo nell’ipotesi b) e non a). «Del resto», afferma la Corte, «non potrebbe sicuramente pervenirsi a un’eventuale applicazione della norma penale ai programmi abusivamente duplicati attraverso un’interpretazione estensiva della disposizione, essendo evidente che il significato dell’espressione “programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae” non può essere dilatato fino a fargli comprendere anche i programmi abusivamente duplicati». È dunque lecito detenere software «pirata» e utilizzarli sui pc dello studio professionale ma a condizione che si riesca a dimostrare di non aver effettuato direttamente la duplicazione abusiva del programma. E non è corretto, giuridicamente, affiliare il professionista all’imprenditore, come il legislatore sta tentando di fare negli ultimi anni «perché lo chiede l’Europa». Nulla di più errato.

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Last modified: 8 Luglio 2015