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Carlo OlmoWritten by: Interviste

De Albertis: “Vogliamo che la Triennale ritorni alla Triennale”

Da febbraio l’’ingegner Claudio De Albertis è il nuovo presidente della Triennale di Milano. Succede a Davide Rampello e rimarrà in carica fino a maggio 2013. In questo colloquio con Carlo Olmo gli obiettivi e le iniziative per il futuro dell’istituzione milanese.

L’autorevolezza culturale di un’istituzione come la Triennale si misura anche e soprattutto nella produzione di mostre di ampio respiro, mentre ultimamente pare emergere una certa autoreferenzialità «milanese» nelle vostre varie iniziative…
L’obiettivo principale di un’istituzione culturale di grande tradizione come la Triennale è certamente quello di porsi come luogo di produzione di cultura, vale a dire di autoproduzione. Occorre infatti operare un grande distinguo tra chi produce cultura e chi fa della pura intermediazione. Certo, anche quest’ultimo aspetto è altrettanto importante, perché implica la diffusione; senza questa, oggi non ci sarebbe la conoscenza di tutto ciò che avviene nel mondo: il turismo architettonico o culturale è amplissimo.
Il problema è riuscire a coniugare l’attività culturale con il successo di pubblico. Noi, ora, ci siamo posti il problema di mettere insieme le due cose: abbiamo bisogno di mostre rivolte a un grande pubblico ma con un messaggio culturale più incisivo. Uno dei temi è anche provare a riproporre, come centrali, le tematiche architettoniche, ultimamente un po’ trascurate rispetto alle mostre d’arte contemporanea; senza per questo tralasciare il design, così presente e importante in una città come Milano.

Nelle mostre prevale un aspetto visivo e formale, certamente importante, ma l’architettura ha una struttura di valori molto più ricca di quanto viene esposto. Indubbiamente, la società richiede un’architettura e una città differenti. Richiede una qualità del progetto e del costruito, un ridotto consumo di suolo, una serie di valori a cui non si è prestata la dovuta attenzione.
Abbiamo svolto un’indagine per capire il valore del brand Triennale e nello stesso tempo abbiamo cercato di raccogliere le impressioni degli utenti; è un atteggiamento doveroso da parte di un’istituzione il cui successo è raggiunto anche attraverso ciò che il pubblico pensa e comprende. Una delle idee guida è riprendere la mostra Triennale internazionale: l’ultima risale infatti al lontano 1997. Ne abbiamo parlato in Comune, ora dovremmo parlarne al Bureaux des Espositions a Parigi con l’ipotesi di promuoverla per il 2014, l’anno prima dell’Expo, dando quindi una sorta di continuità. I tempi sono tuttavia molto stretti.
Abbiamo individuato qualche percorso anche nel campo dell’architettura, accompagnandolo a una serie d’incontri e dibattiti per far tornare la Triennale un luogo di scambio e un punto di riferimento.
Per esempio, abbiamo recentemente ospitato gli esiti del concorso dell’Eni per il nuovo centro uffici, con grande affluenza di pubblico soprattutto in occasione della visita del vincitore Thom Mayne di Morphosis. A settembre ospiteremo il nuovo premio Pritzker, il cinese Wang Shu, così importante per il rispetto della tradizione architettonica cinese e che dimostra quanto il ruolo della qualità sia fondamentale in questo momento di crescita esplosiva dell’architettura nel suo paese. Allo stesso tempo, accanto a questi eventi che hanno un impatto mediatico forte, faremo un percorso, sia espositivo che d’incontri, più legato ai temi del sociale e della città, con Aldo Bonomi e don Virginio Colmegna, uomini che «stanno sul campo». In ottobre, realizzeremo un’importante mostra sulle infrastrutture del Novecento, incentrata sull’Italia ma con lo sguardo rivolto all’ Europa e al mondo. Si osserveranno le grandi infrastrutture di collegamento, quelle interne alle città, le reti, i nodi, la loro relazione positiva o negativa con il paesaggio, l’ingegneria, il sistema di costruzioni, le committenze e l’economia di un paese, poiché la Triennale si fonda anche su un rapporto tra sistema della produzione e sistema dell’ideazione.

Oggi sembra che la Triennale esprima prevalentemente l’identità culturale di Milano, che negli ultimi decenni si è molto caratterizzata sul versante «design», inteso in un’accezione ampia. Perciò, perfino l’architettura ha assunto simili caratteristiche, a discapito dell’interesse per la vita delle persone. Riportare al centro tali interessi credo sia un compito fondamentale per un’istituzione come la Triennale, che ha per fine la circolazione delle idee. Allora ben vengano le grandi conferenze, i grandi concorsi, le grandi personalità, ma deve esserci anche l’idea di proporre dei punti di riflessione innovativa a tutto il paese.
Sono assolutamente d’accordo ed è anche per questo che sarebbe così importante ricominciare a organizzare la Triennale internazionale e monitorare con maggior attenzione il contesto. Il nostro mondo vede tutti gli attori confinati: mentre un tempo c’era più dialogo, con scambio di saperi ed esperienze, oggi sembra esserci solo una lotta per stare lì dove si crea il valore aggiunto. Occorrono invece momenti riassuntivi che facciano emergere le esperienze e che siano catalizzatori di tutti quei contributi che possono arrivare da intellettuali, professionisti, tecnici e imprese. Oggi, dal momento dell’ideazione a quello della realizzazione non c’è un filo conduttore, così come anche nell’innovazione i singoli apporti rimangono isolati anziché fare sistema. Abbiamo produttori di componenti che sono avanti di cent’anni e uffici acquisti, anche di imprese attrezzate come la mia, che alla fine contribuiscono a far sì che i modelli costruttivi siano quelli di cinquant’anni fa; e questo perchè ciascuna azienda, ciascun professionista, per la sua dimensione o per la sua capacità d’investimento non è in grado di apportare maggiori e più radicali cambiamenti. Occorrono momenti che portino in evidenza tutto ciò che significa futuro; un futuro che mette insieme la capacità d’influenzare positivamente la vita delle persone, ma anche la fruibilità dei beni, l’inquinamento indoor e outdoor. Il problema è che oggi, all’interno di un’istituzione, queste cose si fanno con più respiro se si sa di avere un conto economico solido. Ad esempio, dieci anni fa il pubblico contribuiva al 70% del giro d’affari, oggi è sceso al 30%; il resto è autofinanziamento ed è per questo che, a volte, occorrono i cosiddetti compromessi.

Che cosa pensa delle scelte fatte per internazionalizzare la Triennale, seguendo altre grandi istituzioni culturali, come a New York e Shanghai?
Credo che la Triennale, seppur oggi prevalentemente milanese per la sua frequentazione, sia un marchio internazionalmente conosciuto. È nostro dovere contribuire alla sua diffusione. Sappiamo di essere purtroppo molto provinciali, e, quindi, se abbiamo qualche brand da giocarci sul piano internazionale sarebbe delittuoso non farlo. La Triennale a New York ha avuto dei problemi che hanno portato il Cda a ritenere che non si dovesse andare avanti, perchè occorre sempre capire con chi ti accompagni e che cosa esattamente intendi fare. Quando un’istituzione, come un’azienda, ha un brand molto forte, ha il dovere non solo di spenderlo ma di farlo al meglio in termini di ricavi; pur condividendo lo spirito con cui il mio predecessore aveva lanciato quest’idea, noi del Cda l’abbiamo fermata perché creava un deficit, e nei momenti di recessione è meglio non prendersi troppi rischi. Analogamente, per altri problemi, dopo il cambio di amministrazione anche l’esperienza coreana non è stata positiva, mentre a Shanghai verrà a breve riaperto il padiglione Italia, per il quale ci è stato affidato il compito di ridargli vita anche per i prossimi anni. In questo momento stiamo promuovendo la nostra presenza a Pechino, a Parigi presso l’ambasciata di Francia, a Mosca, garantendo il marchio Triennale con eventi e manifestazioni. Ci sono, poi, altre proposte volte a delocalizzare la Triennale, sia in Italia che all’estero, ma occorrono i presupposti: la credibilità dei partner; i conti economici, non solo nell’immediato ma anche in un ottica futura; la capacità gestionale; la possibilità di riempire di contenuti il contenitore. Infatti, in origine si era parlato di creare, così come c’è il museo del design, una sorta di «Triennale International». Tuttavia, in questo particolare momento il Cda ha ritenuto opportuna dedicarsi al «core business».

La Triennale dovrebbe farsi tramite di una cultura architettonica italiana che, senza fare del nazionalismo o del populismo, certamente ha qualità. Penso, ci siano trenta/quarantenni di qualità che non hanno una riconoscibilità. Dovreste rendere, quindi, riconoscibile la qualità della progettazione dell’architettura italiana nel mondo. Visto che la Biennale di Venezia si affida sempre di più al fascino di mondi stranieri, credo che ci vorrebbe, in Italia, un condensatore della cultura architettonica nazionale.
Sarebbe un progetto molto ambizioso. Io sono qui per un anno, poi qualcuno deciderà. Abbiamo affrontato questo tema quando abbiamo lanciato la nuova edizione della Medaglia d’oro: architetti italiani che hanno lavorato in Italia e nel mondo realizzando qualcosa negli ultimi tre anni. Di tutto questo vogliamo fare un evento, non solo di premiazione ma anche espositivo, e costruirci un dibattito. È chiaro che il tema meriterebbe un percorso più articolato e di più ampio respiro, con una strategia meglio definita, ma il tempo che a me e al consiglio rimane è più limitato! Nelle attività che organizzeremo c’è questo aspetto, perché anche nella mostra sulle infrastrutture del Novecento, curata da Alberto Ferlenga, ci sono i grandi ponti autostradali che derivano dalle esperienze di Nervi, Morandi, Zorzi, mentre le centrali idroelettriche sono figlie di Portaluppi…

La Medaglia d’oro è una bellissima iniziativa, ma c’è anche la necessità di una riflessione sulla committenza pubblica e privata, sulla struttura d’impresa, su quali sono i luoghi dell’innovazione. C’è una geografia dell’Italia che costruisce e la Triennale potrebbe, in questo senso, diventare un condensatore: un luogo di discussione, di seminari, di confronti, di proposte, di brevetti, e così tornare a un’idea di complessità dell’architettura. Mettere in circolo questi temi, farli diventare problemi e proposte, sarebbe un compito politico-culturale in senso alto per un’istituzione come la Triennale. A parte voi, oggi in Italia non ci sono istituzioni che possono svolgere questo ruolo.
Sono d’accordo. In questo momento di crisi aprire un serio dibattito sul futuro della progettazione e delle realizzazioni è fondamentale. Occorre capire dove si colloca il punto d’incontro tra una domanda sempre più selettiva, ma anche ridotta quantitativamente e un’offerta per lo più non consapevole e indifferenziata. Nella filiera delle costruzioni i ruoli storici figli di know how, esperienza, cultura, visione, consapevolezza, sono venuti meno determinando inutili sovrapposizioni. Il nostro è un sistema troppo frammentato in cui occorre mettere insieme in modo virtuoso i rispettivi saperi per creare innovazione.
Condivido che questo ruolo «politico» lo possa e lo debba assumere la Triennale.

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 1 Ottobre 2015