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Lucia Pierro e Marco ScarpinatoWritten by: Inchieste

Gae Aulenti a Palazzo Branciforte: nei musei le opere invecchiano male

Gae Aulenti a Palazzo Branciforte: nei musei le opere invecchiano male

Gae Aulenti ha appena concluso il restauro di Palazzo Branciforte, il nuovo polo culturale voluto dalla Fondazione Sicilia (cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 106, giugno 2012)

Che cosa?ha significato per Lei?lavorare a Palermo?
Questo è il mio primo intervento in una città che conoscevo e amavo molto in cui, però, non avevo mai lavorato. Con il lavoro si capiscono molte più cose e si va più a fondo; progettare un polo culturale è sempre qualcosa di eccezionale e per questo abbiamo cercato di comporre le cose in modo da renderle evidenti anche nelle differenze che esse hanno.

Non le saranno sfuggiti i contrasti?che caratterizzano?Palermo?e, in particolar modo, il suo centro storico. Come ha interpretato tutto questo nel suo intervento?
La storia di Palermo è complessa, così come é complesso il contesto fisico e concettuale del Palazzo e, proprio per questo, le sue trasformazioni nel tempo sono state tutte chiavi di lettura e di analisi preliminare al progetto. Nei primi decenni del Seicento i Conti di Raccuja acquisiscono un’altra proprietà e una strada interna, per cui il Palazzo diventa a pianta quadrata ma attraversato da una via interna e con un volume molto più importante che corrisponde a quello che oggi percepiamo. Nell’Ottocento il Palazzo ospita la nuova sede del Monte dei Pegni, di cui ancora oggi si conservano tutte le impalcature, con le scale e i ponti. Nella Cavallerizza e nei piani superiori è stato necessario intervenire consolidando le strutture con il minor danno possibile, non toccando per nulla la parte del Monte dei Pegni e riportando in luce il sottostante sistema puntuale delle colonne.

Rispetto ai suoi precedenti interventi museali in che cosa il progetto che ha?realizzato?a Palermo restituisce?una nuova?idea di museo.
In questo intervento è passato un nuovo concetto di luogo museale. La Fondazione del Banco di Sicilia, come tutte le fondazioni, ha una collezione archeologica di oltre 4.700 pezzi. Di solito si selezionano i pezzi più importanti per esporli e il resto viene accantonato in riserva. Abbiamo invece optato per esporre tutto in una vetrina continua e poi in altre vetrine sono esposti i pezzi più importanti della collezione. Le opere possono ruotare ed è possibile cambiare le scelte espositive per inventare altre connessioni concettuali. Le riserve dei musei sono luoghi in cui le opere invecchiano male e sono dimenticate rimanendo lontane anche dagli sguardi degli studiosi.

Quale è la sua visione del restauro e più in generale la sua idea d’intervento all’interno di un contesto storico stratificato?
In palazzi come questo, diversi sono i cambiamenti dovuti a nuove destinazioni. Quando siamo entrati a Palazzo Branciforte abbiamo trovato la famosa strada e il cortile pieni di superfetazioni realizzate successivamente che chiudevano il passaggio. Per prima cosa abbiamo svuotato la strada e il cortile per ritrovare l’essenza stessa del palazzo e, infatti, oggi la strada attraversa l’edificio e serve a portare da un luogo all’altro, mentre il cortile è diventato uno spazio in cui sostare, con una fontana che ricorda i cortili arabi. Inoltre, durante la guerra era stata abbattuta anche una parte dell’edificio tra cui una loggia, simile a quella che troviamo nel lato sud. Noi non l’abbiamo ricostruita tale e quale, ma abbiamo scelto di ricostruire la loggia con un linguaggio contemporaneo così da esplicitare che anche il restauro di un palazzo e la sua rifunzionalizzazione devono essere fatti con linguaggi che testimoniano il passaggio dei secoli.

Come si?dovrebbe intervenire oggi per raggiungere gli obiettivi di tutela e sviluppo del?centro storico di Palermo nell’ottica del più generale sviluppo urbano?
Credo che occorra restaurare quello che è importante conservare e che in tutti i casi in cui ci sia da ricostruire occorra utilizzare il linguaggio di oggi.

Dopo la sua esperienza a Palermo, si è fatta un’idea di come l’architettura possa contribuire a trasformare questa città in una capitale dell’Euromediterraneo?
Questo intervento purtroppo coincide con un periodo di enorme crisi a livello nazionale e globale. Si parla però già di adattare un altro palazzo di Palermo a Museo di arte contemporanea. Io credo che gli stimoli siano sempre corretti, per esempio, aver inserito il ristorante a palazzo Branciforte è un modo per attirare coloro che non andrebbero in biblioteca, al museo archeologico o al Monte dei pegni. Naturalmente ci vorrebbero molte altre architetture capaci di attrarre un pubblico variegato. Non bisogna far decadere palazzi di questa importanza perché costituiscono il tessuto connettivo della città.

Nella sua esperienza Lei richiama di frequente il valore della coscienza civile. Quali nuove?sfide dovremo porci e come bisognerà orientare?le proposte per il?futuro?
Anche a Milano abbiamo, per esempio, Palazzo Dugnani, con gli affreschi del Tiepolo, che nessuno può visitare perché è pericolante. Stiamo perdendo tante opere significative a Palermo come a Milano, se ognuno di noi enumerasse quello che deve essere fatto ci verrebbero i sudori freddi. Il problema è che ogni goccia che cade può essere raccolta in un’ampolla, sia attraverso strade che conosciamo sia attraverso strade che non conosciamo. Dal punto di vista della committenza la Fondazione Sicilia ha fatto un’operazione bellissima, poi committente e architetto si sono trovati miracolosamente d’accordo, questo è un miracolo che accade raramente.
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Autore

  • Lucia Pierro e Marco Scarpinato

    Scrivono per «Il Giornale dell’Architettura» dal 2006. Lucia Pierro, dopo la laurea in Architettura all'Università di Palermo, consegue un master in Restauro architettonico e recupero edilizio, urbano e ambientale presso la Facoltà di Architettura RomaTre e un dottorato di ricerca in Conservazione dei beni architettonici al Politecnico di Milano. Marco Scarpinato è architetto laureato all'Università di Palermo, dove si è successivamente specializzato in Architettura dei giardini e progetto del paesaggio presso la Scuola triennale di architettura del paesaggio dell'UNIPA. Dal 2010 svolge attività di ricerca all’E.R. AMC dell’E.D. SIA a Tunisi. Vive e lavora tra Palermo e Amsterdam. Nel 1998 Marco Scarpinato e Lucia Pierro fondano AutonomeForme | Architettura con l'obiettivo di definire nuove strategie urbane basando l'attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio e la collaborazione interdisciplinare. Il team interviene a piccola e grande scala, curando tra gli altri progetti di waterfront, aree industriali dismesse e nuove centralità urbane e ottenendo riconoscimenti in premi e concorsi di progettazione internazionali. Hanno collaborato con Herman Hertzberger, Grafton Architects, Henning Larsen Architects e Next Architect. Nel 2013 vincono la medaglia d'oro del premio Holcim Europe con il progetto di riqualificazione di Saline Joniche che s'inserisce nel progetto "Paesaggi resilienti" che AutonomeForme sviluppa dal 2000 dedicandosi ai temi della sostenibilità e al riutilizzo delle aree industriali dismesse con ulteriori progetti a Napoli, Catania, Messina e Palermo. Parallelamente all'attività professionale il gruppo sviluppa il progetto di ricerca "Avvistamenti | Creatività contemporanea" e cura l'attività di pubblicistica attraverso Plurima

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Last modified: 18 Luglio 2015