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Carlo OlmoWritten by: Forum

Biennale, Maxxi, Consiglio superiore dei beni culturali… Cultura senza democrazia

Forse vincerà un’amara risata. Come racconta George Simenon nel suo primo romanzo, Au pont des Arches, l’ironia spesso è drammaticamente involontaria. Potrebbero tornare a leggere quel testo quanti stanno gestendo la cultura italiana, in modi che si possono definire solo umoristici. «Il Giornale dell’Architettura» pubblica, in questo numero, i programmi dei dieci studiosi chiamati a partecipare a una singolare competizione: si potrà così confrontarli almeno… ex-post. In qualche ignota stanza del Collegio Romano, forse suggestionati dai tanti, illustri fantasmi che lo popolano, un signor/signora sconosciuto ha infatti scelto dieci cavalieri o, forse, otto, e altri due vengono decisi in qualche altra stanza del palazzo. I dieci, che nelle voci che sempre accompagnano scelte non trasparenti, diventano otto, poi undici, poi… enne, devono presentare in pochi giorni un loro progetto curatoriale per il Padiglione Italia della Biennale di Venezia, senza avere che vaghe indicazioni e senza sapere chi altro è chiamato a competere. Una scelta tanto «oculata» si accompagna a un’assoluta opacità su chi e come decide.
Vera e involontaria traduzione in scena di vita reale de Il pedone dell’aria di Eugène Ionesco, questo guazzabuglio medievale – ma Merlino era molto più simpatico! – arriva oltre ogni decente scadenza. Il Padiglione Italia dovrà essere inaugurato a fine agosto, mettendo comunque tutta la cultura architettonica italiana in una posizione di per sé paradossale. È vero, siamo la patria della vulgata oraziana, ma forse per costruire una riflessione e una proposta che risponda in maniera non conformista alle stesse pur vaghe domande del Mibac meno di tre mesi hanno il sapore amaro del disprezzo proprio per il lavoro del critico che il prescelto è chiamato a svolgere. Questa vicenda è ulteriormente triste, perché espone l’Italia a un confronto con quanto stanno facendo da un tempo che è inconfrontabile gli altri paesi che hanno un padiglione alla Biennale. Ma il vivere in un paese incapace di guardare al di fuori delle mura (aureliane o meno) lo s’intuisce anche da un’altra vicenda, ancor più grave: quella del Maxxi.
Non è un colpo di mano lo strumento migliore per tracciare il bilancio di un’operazione che tra scelta del luogo, concorso, cantiere e primi anni di gestione delle attività copre quasi un decennio d’investimenti pubblici. Forse, nuovamente, chi sta gestendo questa per lo meno singolare procedura ha letto troppe volte l’Antigone di Jean Anouilh. Il vero nodo di questa intricata vicenda che ha scatenato petizioni, prese di posizione, cordate e tante, troppe illazioni, è che, così facendo, si offre a chi italiano non è uno spettacolo penoso. Il Maxxi, al di là di valutazioni che richiederebbero trasparenza e tempo (e un… tribunale meno prossimo alle tradizioni che proprio nel Collegio Romano hanno a lungo coltivato le loro non certo migliori espressioni), è diventato in pochissimo tempo un luogo importante per una cultura internazionale che ha visto, in tutta l’operazione, una scelta coraggiosa, capace di costruire, in una Roma congelata nelle sue strutture museali, un luogo più aperto, oltre tutto un luogo urbano, non solo artistico e culturale.
Come tutte le iniziative che impegnano risorse pubbliche è non solo giusto ma doveroso sottoporla a valutazione, proprio in un paese che sta dimostrando, sulla valutazione della ricerca scientifica dei propri accademici, tutta la paura e la difficoltà di procedere. Ma le valutazioni, per essere credibili, devono definire giudici e criteri non solo trasparenti ma competenti, capaci cioè di valutare l’opera sia rispetto agli obiettivi che si era posta, sia rispetto agli esiti, economici, culturali, urbani e d’immagine internazionale che, lo voglio ripetere, ha raggiunto. Invece, la «risoluzione» lascia solo il sapore amaro dell’esecuzione del suo principale protagonista, Pio Baldi. Chi governa strutture e potere pubblici dovrebbe non solo rispettare ma sottolineare le forme della democrazia; così non è al Collegio Romano.
In questi giorni sono stati eletti i nuovi membri di un organismo ancor più importante nella vita del Ministero, il Consiglio superiore dei Beni culturali. Per una volta, forse, e visto il clima avvelenato che il paese respira, ma anche per la delicatezza dell’organo che si andava a formare, coinvolgere le competenze e le conoscenze scientifiche, almeno nella definizione della rosa dei membri poteva essere il «minimo sindacale» per chi esercita un potere forse in nome di qualcun altro. Non è avvenuto. S’invocherà la procedura, come sempre accade quando le risposte che si danno sono solo espressione di scelte di natura privatistica.
Forse, di nuovo involontariamente, c’è un personaggio letterario che può aiutare a capire quel che sta succedendo, nei modi, non solo nelle scelte, al Collegio Romano. Come Gregor Samsa, chi entra in quel luogo sembra subire una metamorfosi, che vive non già del ruolo etico e scientifico che la cultura rivendica sempre per se stessa, ma della passione per l’intrigo e le scelte costruite, rendendo sempre difficili capire ragioni e forme delle decisioni. Un piacere quasi masochistico, oggi più che mai, senza capire che la lettura che ne darà il mondo, non solo quello internazionale, sarà quella di tanti piccoli azzeccagarbugli e di alcune piccole o grandi rese dei conti.

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 9 Luglio 2015