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Written by: Progetti

Una grande sede per il Design Museum nel Commonwealth Institute

Una grande sede per il Design Museum nel Commonwealth Institute

Londra. L’aveva già suggerito nel giugno 2006 Deyan Sudjic: perché non farne uno spazio espositivo? Dalle pagine del «Guardian» il critico di design e architettura (nonché, all’epoca, da pochi mesi direttore del Design Museum) aveva lanciato un accorato appello per salvare il Commonwealth Institute dalle ipotesi di demolizione. L’iperbolico edificio inaugurato nel 1962 in Kensington High Street, e progettato dallo studio Robert Matthew Johnson Mar­shall (Rmjm) su ispirazione del padiglione Philips ideato da Le Corbusier per l’Expo di Bruxelles 1958, era nato per ospitare una mostra permanente di diorami dedicati alle produzioni commerciali dei paesi membri del Commonwealth. Ma all’appuntamento del nuovo millennio l’edificio era ar­rivato svuotato di ogni funzione, abbandonato dalla stessa istituzione che lo aveva fondato e che era pronta a venderlo o lasciarlo demolire, nonostante il vincolo della Statutory List of Buildings of Special Architectural or Historic Interest (l’edificio ha un «Grade II», che viene attribuito a costruzioni «importanti di interesse più che particolare»).
Dopo cinque anni, proprio Sudjic è in prima fila coinvolto nel recupero e nella rifunzionalizzazione di quell’edificio che nel 2014 riaprirà come nuova sede del Design Museum. È lunga la strada percorsa dal museo londinese da quando, a inizio anni ottanta, il suo promotore e fondatore, il designer e imprenditore Terence Conran, e il sodale critico Stephen Bailey, faticavano a trovare il sostegno delle istituzioni alla loro idea di costituire un dipartimento-esposizione di design moderno. I due incassarono vari rifiuti prima di trovare l’interesse di Roy Strong, direttore del Victoria and Albert Museum, allora impegnato proprio a ricostruire il legame dell’istituzione con le produzioni contemporanee. È così che nel cuore del grande museo di arti decorative e design, erede della Great Exhibition del 1851, vide la luce nel 1982 il Boilerhouse Project: una galleria di design moderno che in sei anni ha offerto al pubblico oltre venti mostre. Nel frattempo, tuttavia, Conran e Bailey continuarono a cercare una sede autonoma. Nell’estate 1989 il Design Museum apriva le porte sulla riva del Tamigi, a Shad Thames, in un ex deposito di banane degli anni cinquanta, opportunamente ristrutturato in stile retro-modernista.
Da allora il museo è passato attraverso numerosi progetti espositivi (con la rinuncia a una sezione permanente e la concentrazione sulle attività temporanee), vari direttori e anche qualche controversia. Un processo che ha segnato la trasformazione della stessa nozione di «design» cui l’istituzione è dedicata. Memorabile a tal proposito il «caso Spry» nel 2004 allorché la mostra di flower design («Constance Spry: A millionaire for a few pence»), organizzata dalla direttrice Alice Rawsthorn, determinò le dimissioni dal consiglio del museo del designer-ingegnere James Dyson, spalleggiato dallo stesso Conran. A Rawsthorn sarebbe succeduto nel 2006 Sudjic, il quale da allora è rimasto con garbo e continuità alla guida. E negli ultimi anni il museo si è mosso con apparente disinvoltura fra industrial e product design, grafica, architettura, fotografia e moda. L’ampliarsi delle ambizioni del museo, però, ha reso sempre più evidenti i limiti della sede di Shad Thames.
In questo senso la soluzione del Commonwealth Institute garantirà al Design Museum, in primis, maggiore spazio e quindi la possibilità di esporre in maniera permanente la propria collezione, di organizzare un più vario calendario di mostre temporanee e di arricchire le attività educative. A gennaio è stato svelato il progetto di trasformazione degli interni, affidato nel 2010 a John Pawson – al quale, peraltro, il Design Museum ha prontamente dedicato la retrospettiva «Plain Pawson».
Il progetto insiste sulla valorizzazione della preesistenza. In primo luogo, dunque, la tensione ascensionale della struttura di copertura e il contrasto con il taglio orizzontale dei piani. Per non di­sturbare il vuoto centrale, che nelle intenzioni rappresenta uno spazio di orientamento fra i diversi piani, ogni altro volume è stato addossato al perimetro dell’edificio. Le diverse funzioni del museo (inclusi bookshop, caffetteria, ristorante e laboratori) saranno distribuite su cinque piani, con aree espositive dal seminterrato fino all’ultimo piano, per un totale di circa 10.000 mq, mentre nuove aperture saranno realizzate nella copertura. La trasparenza è infatti l’altra qualità su cui punta la riqualificazione del Commonwealth Institute: le entrate vetrate, sui lati nord ed est, contribuiranno a favorire il flusso dei percorsi da e verso l’esterno a verde. Per quanto riguarda i materiali dei pavimenti, non stupisce che la scelta del «minimalista» Pawson sia caduta su un numero limitato di elementi, come il legno e il calcestruzzo per il terrazzo.
Il costo complessivo del progetto è stimato in 80 milioni di sterline, in gran parte già raccolti grazie al supporto di fondazioni e donazioni individuali, fra cui quelle dello stesso Conran e della Sackler Foundation. Per il Design Museum, del resto, il trasferimento nel Commonwealth Institute rappresenta soprattutto una sfida in termini di posizionamento nella geografia culturale locale e internazionale. A livello urbano, infatti, il Design Museum si sposterà in un’area dove già si trovano istituzioni come il Victoria and Albert Museum, il Science Museum, il Royal College of Art e la Serpentine Gallery. Un’area che sarà anche valorizzata da un piano di sviluppo residenziale affidato a Rem Koolhaas/OMA. A livello internazionale, il museo intende rilanciare la propria posizione «guida» per il design e l’architettura, in un panorama in fervido mutamento: si vedano per esempio la fondazione del Design Museum di Holon, in Israele (2010), i piani di ampliamento del Cooper Hewitt National Design Museum a New York (riapertura prevista per l’autunno 2013), e il progetto della Design Plaza a Seul, con progetto di Zaha Hadid (2013).

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Last modified: 20 Luglio 2015