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Written by: Design

Le vite dei santi e la raccolta di figurine

Le vite dei santi  e la raccolta di figurine

In una fase importante di transizione per cultura, teoria e prassi del design, è utile provare a capire quale contributo e ruolo hanno avuto e possono avere le discipline storiche. Fare il punto sullo stato dell’arte, da una parte evidenziando la situazione attuale, dall’altra indicando le direzioni lungo cui è necessario muoversi per acquisire ruolo e centralità. Di recente l’Associazione degli storici del design (Aisdesign) ha condotto una prima indagine conoscitiva dell’editoria di settore e generalista, riferibile in senso lato alla storia in particolare nel nostro paese (disponibile su www.aisdesign.org). Oltre la metà dei volumi pubblicati negli ultimi due decenni (a indicare anche una tendenza diffusa in ricerche e studi) sono monografie di designer e aziende; diverse le storie generali e generaliste; esiguo il numero dei libri dedicati a questioni teoriche, critiche e metodologiche. L’analisi registra incertezze ed equivoci della situazione editoriale innanzitutto, ma anche del contesto disciplinare dentro l’Università e più in generale nel sistema scientifico, culturale ed economico. A fronte di un mercato potenzialmente ampio di studenti, professionisti, uomini di cultura, d’impresa e delle istituzioni, lasciano un po’ a desiderare qualità e varietà d’argomento e impostazione degli scritti. Prevalgono, appunto, le cosiddette «Vite dei Santi» (gli anglosassoni l’hanno definito «heroic approach»): progettisti e imprese letti perlopiù in chiave agiografico-comunicativa; o le «raccolte di figurine»: belle immagini di oggetti e prodotti proposti senza filtri interpretativi e chiavi di lettura. Diversi fraintendimenti di fondo paiono evidenti. Alcuni sono legati al design divenuto con Enzo Mari una parola-valigia, un contenitore dentro cui ognuno inserisce significati assai differenti; altri, all’incerta condizione metodologica, che da sempre oscilla fra art design history, racconto «militante» (dove la storia è pretesto e strumento per sostenere tesi varie, certo legittime ma necessarie di altri metodi e argomentazioni) o ancillarità disciplinare di volta in volta rispetto alla storia (e agli storici) dell’architettura, della tecnologia, dell’estetica o altra a scelta. Anche l’auspicato e indispensabile dialogo interdisciplinare, ad esempio nei diffusi volumi collettanei, appare di frequente giustappositivo. Analoga situazione per l’editoria universitaria, dove potrebbero confluire contributi scientifici e di ricerca (ma in Italia ad esempio mancano dottorati specifici) e che rimane invece perlopiù «d’occasione». È fondamentale allora procedere a un significativo ripensamento sulla disciplina, sui metodi, sulla sua condizione e collocazione nel contesto scientifico, ma anche sociale ed economico. A livello internazionale il dibattito teorico-metodologico è stato a lungo fra i sostenitori della design history o dei design studies, ovvero di studi generali che fra gli altri comprendessero la storia. Il prevalere anche in Italia della seconda direzione (con l’aggravante tutta nostrana di far coincidere di frequente il design con il furniture, inteso inoltre come frutto esclusivo di autorialità artistico-creativa e ammantato da mitologie auratico-commerciali) ha comportato impoverimenti oggettivi di impegno, risorse umane ed economiche nel campo della cultura e degli studi storici. Credo allora sia essenziale oggi parlare di Design histories, cioè in sostanza di «storie dei design», perché sono differenti i possibili approcci metodologici, ma anche i modi di intendere e praticare i «diversi» design. Uno spazio fenomenologico ampio da affrontare però con strumenti peculiari, a partire da quelli della ricerca storica come le fonti. Con un approccio multidisciplinare, attento alle molte competenze, e di conseguenza storie, che interagiscono nello sviluppo del design inteso come processo progettuale globale, condiviso fra numerosi «autori» (designer, imprenditori, tecnici e manager, fruitori), condizionato e operante nei differenti contesti e sistemi: sociali, economici, culturali, estetici, tecnologici o comunicativi. Una metodologia e una definizione di campo impegnativi ma obbligati per ricollocare la storia del design (anche nella sua dimensione necessaria di progetto critico) nel contesto della ricerca scientifica, della cultura del design e di conseguenza nei meccanismi vitali dell’economia. Tutto questo appare urgente anche in considerazione della necessità di ricambio generazionale e di apertura di percorsi formativi che forniscano ai giovani storici concreti indirizzi, strumenti e opportunità.

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Last modified: 21 Luglio 2015