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Luigi BartolomeiWritten by: Città e Territorio

A Modena, la seconda funeral home italiana

A Modena, la seconda funeral home italiana

Fossalta (Modena). Le funeral homes sbarcano in Italia e sono, per il momento, un fenomeno«padano». Comune tipologia dello scenario urbano statunitense, la loro comparsa è del massimo interesse,non già per il carattere dell’architettura (piuttosto acerba in queste prime manifestazioni), quanto peri movimenti della società che questo fenomeno presuppone e significa. La prima funeral home italiana ha aperto i battenti a Milano nel 2006 e questa seconda modenese, di maggiori dimensioni (5.000mq per un investimento di 6milioni) è stata inaugurata il29 giugno sull’antico tracciato della via Emilia, a firma degli architetti Claudio Grillenzoni, Ezio ed Emiliano Righie Katia Valli. Entrambe d’iniziativa privata,la prima promossa e concepita dall’ex ciclista e imprenditore Alcide Cerato, la seconda di Gianni Gibellini, curatore dei funerali di Luciano Pavarotti,le due strutture dimostrano più chiarezza nel programma funzionale che in quello architettonico, con deciso vantaggio a favore dell’opera modenese per la maggiore attenzione ai percorsi e agli spazi di soglia e mediazione,proponendo un percorso di avvicinamento graduale all’esperienza del lutto. Nove camere del commiato e corrispondenti salottini-anticamera sono raccolti attorno al silenzio di un chiostro quadrato ornato di piante, un olivo e una fontana. Al patio claustrale si affiancano bar, ristorante da150 coperti e sala da 700 posti(che il nome laico di «Terracielo» non distoglie da interpretare come cappella per la sua sezione a doppia altezza) e il bel crocefisso di Flavio Senoner: unico accento confessionale di spazi che si propongono laici, per tutti e, forse, per questo un poco ingessati nell’anonimato di un’eleganza borghese. È del resto difficile dare un’interpretazione spaziale a funzioni che non conoscono tradizione. Del tutto diverso è il caso degli ampliamenti cimiteriali odei crematori, che da forni sono diventati templi nel tentativo di mitigare la memoria dell’Olocausto (si veda quello recentemente concluso da Paolo Zermani a Parma). Le Funeral homes si collocano nel vuoto rituale che si è aperto tra l’immediatezza del decesso e il rito del funerale da quando si è interrotta la pratica delle veglie domestiche e troppo squallidi si sono ritenutigli obitori comunali e ospedalieri per un rapporto visivo con la salma o per le crescenti richieste di funerali laici. Nelle funeral homes qualunque liturgia si svolge nella medesima interpretazione spaziale del lutto: un’impresa che può avere successo solo se l’architettura riesce a farsi immagine universale dell’esperienza antropologica della morte, ossia essendo,autenticamente, opera d’arte. Il panorama italiano attende pertanto nuovi tentativi.

Autore

  • Luigi Bartolomei

    Nato a Bologna (1977), vi si laurea in Ingegneria edile nel 2003. È ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, ove nel 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica. Si occupa specialmente dei rapporti tra sacro e architettura, in collaborazioni formalizzate con la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna ove è professore invitato per seminari attinenti alle relazioni tra liturgia, paesaggio e architettura. Presso la Scuola di Ingegneria e Architettura di Bologna insegna Composizione architettonica e urbana, ed è stato docente di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture. È collaboratore de "Il Giornale dell'Architettura" e direttore della rivista scientifica del Dipartimento, “in_bo. Ricerche e progetti per il Territorio, la Città, l’Architettura”

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Last modified: 22 Luglio 2015