Vorrei intervenire nel dibattito avviato dalla collega Cinzia Mauriello dellOrdine di Roma relativamente ai problemi che assillano la professione degli architetti italiani (cfr. «Il Giornale dellArchitettura» n. 89, pag. 24).
Il problema di fondo è dovuto, a mio parere, al fatto che in Italia sono autorizzati a progettare non soltanto gli architetti che, data la preparazione universitaria specifica, sarebbero gli unici ad averne titolo, ma tutta unampia serie di altri professionisti, sia diplomati (geometri e periti edili), che laureati (ingegneri di qualsiasi specializzazione: fino a qualche anno fa era sufficiente inserire nellesame di stato Scienza delle costruzioni per diventare architetto a tutti gli effetti legali, anche se con specializzazione elettrica, informatica o aeronautica). Conseguentemente il numero dei progettisti autorizzati a esercitare la libera professione in Italia si potrebbe così quantificare: 150.000 architetti, 220.000 ingegneri, 110.000 geometri. Se circa 480.000 liberi professionisti italiani devono sopravvivere suddividendosi una torta che diventa ogni giorno più esigua per una crisi edilizia, a mio parere, irreversibile per la saturazione del mercato edile, si può comprendere la difficoltà della nostra situazione lavorativa.
La fotografia di questa crisi è visibile nelle poche gare pubbliche di progettazione italiane, che vengono vinte da professionisti che applicano ribassi del 65-70% sulla base di appalto, rischiando di lavorare sottocosto o con bassissimi livelli qualitativi.
Sulla base della mia conoscenza diretta, avendo un figlio appena laureato architetto al Politecnico di Losanna e che ha studiato in varie università europee, questo pare succedere soltanto da noi; infatti nel resto dEuropa esiste una realtà molto diversa, dovuta al fatto che soltanto agli architetti viene riconosciuto il diritto di fare architettura. Si aggiunga infine la considerazione che negli altri paesi europei gli architetti professionisti risultano essere proporzionalmente in numero molto inferiore rispetto a quelli italiani. La conseguenza è che nel resto dellEuropa la media degli studi di architettura è caratterizzata da unorganizzazione interna formata da un numero di collaboratori superiore a 20 unità, dove un giovane architetto viene assunto come primo impiego a 1.500-2.000 euro di stipendio mensile, mentre i concorsi obbligatori per la scelta del progettista delle opere pubbliche permettono alle giovani leve più preparate di inserirsi facilmente nel mondo del lavoro.
Sono molto pessimista circa la situazione italiana e penso che si debbano seguire nuove strade per tentare un seppur disperato recupero:
– perseguire con determinazione il contenimento delle possibilità progettuali dei diplomati e dei laureati con una preparazione professionale impropria, conformemente a quanto stabilisce la direttiva europea sullarchitettura
– fare contestualmente chiarezza anche tra le varie competenze professionali, imponendo settori di esclusività per le categorie, ognuna secondo la propria specializzazione. Ad esempio: solo ai geometri la competenza esclusiva per misurazioni terreni, i loro frazionamenti e accatastamenti, ecc.; gli ingegneri dovrebbero avere competenza esclusiva per le verifiche strutturali, impiantistiche, ecc. Sarebbe in tal modo più credibile programmare anche il numero dei professionisti che ogni settore di attività potrà occupare
– incentivare il sistema degli incarichi pubblici soggetti a concorso per soli architetti, ripristinando il limite minimo garantito dalla tariffa di cui al Testo Unico legge 143/49 e invitando nelle commissioni esaminatrici dei progetti più importanti anche giudici stranieri
Limportante è iniziare con determinazione, facendo adeguate pressioni politiche, sia in Italia che in Europa, richiedendo leventuale aiuto anche da parte degli architetti europei, che dovrebbero poter esercitare anche da noi e che, quindi, possono essere interessati a regolamentare il settore dellarchitettura italiana.
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