Caro direttore,
ti chiedo ospitalità per un breve commento sul servizio che il Giornale ha dedicato, nel numero scorso, allintervento dellarchitetto Guido Meli, con la consulenza di vari specialisti, alla Villa del Casale. Decisamente insensibile al coro generale di proteste che si è sollevato da tutta Italia contro lanacronistico cantiere tuttora in corso (fino a esaurimento dei pingui finanziamenti disponibili, penso) a spese di un assoluto capolavoro di museografia italiana degli anni cinquanta, qual è la raffinata copertura di protezione voluta dallIstituto centrale del restauro e dal suo direttore Cesare Brandi, proprio per preservare dal degrado i mosaici, la vostra corrispondente dai luoghi nei quali si sta consumando lo scempio si scioglie in unovazione di consensi, «con buona pace – scrive – dei minissiani massimalisti», cui dedica un box al veleno, accusandoli di «boicottare un progetto e di mistificare le intenzioni di chi lha concepito».
No, con tutta la comprensione possibile e la stima per il tuo Giornale non ci stiamo! Ma avete visto bene qual è il rimedio adottato contro quello che il commissario Vittorio Sgarbi ha chiamato, anche inaugurando ufficialmente il Padiglione Italia la scorsa estate a Venezia, un «ammasso di ferruglia arrugginita»? Perché non fate un bel referendum tra i vostri affezionati lettori mettendo semplicemente a confronto ciò che si sta perdendo (lelegante struttura trasparente di Minissi) con la rozzezza di ciò che la sostituisce (quella abnorme tettoia da pizzeria o, come è stato scritto, «stile chalet»), inserite con una delicatezza da elefante sulle Terme romane e con quellincredibile sopraelevazione con la volgare absidiona «tradizionale» a fungo in legno della Basilica che pure avete pubblicato? Con buona pace (stavolta sì) del buon Minissi e di chi ha, solo pochi anni fa, dichiarato questo luogo patrimonio dellumanità. Almeno non parliamo, per carità, dintervento che «rivela una profonda comprensione»(!) per Minissi, e non infierite, aggiungendo al danno anche la beffa (testuale: «di più: Minissi poteva essere persino migliorato»).
In realtà da tempo non si assisteva a un «restauro» più distruttivo e dissacrante di questo, portato avanti con una protervia assoluta e, per ironia della sorte proprio nel nome, dagli stessi tecnici e con i denari assegnati a quel Centro regionale per il restauro che per statuto (proprio come a suo tempo lIcr che aveva promosso lopera di Minissi) dovrebbe invece occuparsi di salvaguardare (e non certo di distruggere) le opere affidate alle sue cure; un Istituto che tra le sue materie dinsegnamento ha anche, ma non lha qui attivata, proprio la conservazione dei materiali (e con tecnologie) «moderni», come appunto sono il ferro e i prodotti di sintesi. Per non parlare poi dellintervento, davvero grottesco, fatto sui mosaici che nessun pur disinvolto «restauratore» degli anni cinquanta avrebbe mai osato fare: guardate il trattamento riservato alle storiche lacune, ora allegramente reintegrate tutte artigianalmente su una pastina di resina bianca incisa a mano libera, a simulare (ridicolo!) le antiche tessere in pietra! Perché, ci chiediamo in tanti, le istituzioni di tutela nazionali e locali non intervengono contro i responsabili di fronte a così evidente delitto contro il patrimonio pubblico mondiale, per arrestare lo scempio in atto?
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