Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria, con la sentenza n. 9 del 24 maggio 2011, ha affrontato e risolto in modo definitivo una problematica complessa nella sua dinamica sia processuale che fattuale rimessa alla sua attenzione dal Consiglio di Stato (ordinanza n. 970 del 16 febbraio 2011della VI Sezione).
In particolare, la questione nasce da una serie di ricorsi contro lUniversità Iuav che, attraverso una serie di operazioni e deliberazioni, aveva costituito una società di capitali a socio unico a cui era stato conferito il ramo di azienda relativo alle attività di progettazione architettonica e urbanistica, pianificazione territoriale e costruzione. Con distinti ricorsi (tutti poi riuniti) alcuni Ordini professionali degli Ingegneri e degli Architetti avevano impugnato gli atti, sostenendo lillegittimità di Iuav alla costituzione di una società lucrativa attiva nel settore della progettazione architettonica e urbanistica, della pianificazione e delle costruzioni. I ricorsi sottendevano diverse importanti problematiche: sopra tutte, linteresse a impugnare da parte degli Ordini e, la più rilevante, la possibilità che un istituto universitario costituisca una società di engineering non rientrante fra le proprie finalità istituzionali.
Gli Ordini hanno ragione
La decisione è stata estremamente puntuale e, per le sue argomentazioni, condivisibile. Il Consiglio di Stato ha sostenuto lassoluta esistenza dellinteresse a impugnare, risolvendo così una dicotomia interpretativa tra chi sosteneva che gli Ordini non avessero la legittimazione se non a tutela degli interessi dellintera categoria rappresentata (difettando in caso contrario la necessaria omogeneità della rappresentanza di interessi di cui lassociazione è ente esponenziale) e chi, invece, riteneva che linteresse degli Ordini sussistesse anche nellipotesi in cui potesse in astratto configurarsi un conflitto dinteressi tra gli Ordini medesimi e i singoli professionisti in quanto beneficiari dellatto impugnato, che gli Ordini assumono invece essere lesivi dellinteresse istituzionalizzato della categoria.
Ebbene, ladunanza plenaria, a sostegno della propria decisione, ha posto la necessità da parte degli Ordini di salvaguardare un principio cardine che costituisce la loro stessa finalità istituzionale, ovvero quella della salvaguardia della «par condicio» degli iscritti nellespletamento dellattività professionale. In sostanza, è evidente lo scopo di dare massima rilevanza al compito istituzionale loro riservato, di tutela degli iscritti sia come categoria intera sia nel momento in cui dovesse venirsi a creare unevidente lesione della citata «par condicio» tra gli iscritti a favore dei soggetti più forti rispetto a quelli più deboli.
Iuav dovrà ripensare le sue società
La seconda questione è stata affrontata prendendo in esame le argomentazioni degli Ordini ricorrenti, individuate principalmente nellassenza da tutte le fasi decisionali delle finalità istituzionali e delle ragioni dinteresse pubblico giustificative della costituzione della società, anche in ragione della circostanza che sarebbe stata dotata di un capitale proveniente da un finanziamento statale destinato ad altro scopo.
Ladunanza ha ben affrontato e risolto la problematica, ponendo opportunamente attenzione al dato che, ancor prima della legge 244/2007 (Finanziaria 2008), costituiva comunque un principio consolidato e assolutamente accertato e accettato: che le amministrazioni pubbliche, e quindi anche le Università, non potessero costituire società aventi a oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
La decisione ha posto lattenzione su dati determinanti: che lattività dimpresa è consentita agli enti pubblici (e quindi anche alle Università) solo in virtù di espressa previsione; che lente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività dimpresa salve espresse deroghe normative; che la costituzione di società per il perseguimento di fini istituzionali propri dellente pubblico è generalmente ammissibile se ricorrono i presupposti dellin house e salvi specifici limiti legislativi.
Cosè lin house
I presupposti sono la partecipazione totalitaria pubblica con assoluta esclusione di capitale privato e la caratterizzazione dellattività, che deve essere dedicata esclusivamente o prevalentemente al socio pubblico.
In definitiva, come correttamente rilevato dallAdunanza e coerentemente con il sistema normativo anche comunitario, una cosa è la costituzione di una società «in house» da parte di un ente pubblico senza fine di lucro che è in sé un modulo organizzativo neutrale che rientra nella capacità organizzativa dellente e sempre diretta al perseguimento del fine istituzionale, altro è invece la costituzione, da parte di un ente pubblico, di una società commerciale che non operi con lente socio, ma sul mercato con concorrenti privati ricevendo ordini da soggetti privati e pubblici (e da qui, come in precedenza evidenziato, anche la legittimazione ad agire da parte degli Ordini).