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Written by: Forum

Casa: un motore spento

Gli strumenti della semplificazione e della deroga sembrano essere gli unici mezzi a disposizione per contrastare la depressione attraversata dall’edilizia. Con il recente Decreto sviluppo, all’articolo 6, il governo ribadisce sostanzialmente l’utilizzo di tali modalità per correggere la curva recessiva impressa dagli investimenti nel settore. Alcuni l’hanno definito «Piano Casa 3», dopo i precedenti che riguardavano rispettivamente l’housing sociale e gli ampliamenti e demolizioni/ricostruzioni in deroga agli strumenti urbanistici. Tutti e tre sono caratterizzati da un fattore che contraddice uno degli obiettivi prioritari: la rapidità di attuazione e, quindi, la portata anticongiunturale di tali provvedimenti.
L’avvio del primo Piano Casa («Piano nazionale di edilizia abitativa») è datato, con il decreto legge apposito, giugno 2008: era evidente fin da allora che la convergenza dei diversi interessi e la costituzione della governance alla base delle realizzazioni degli interventi non potevano esplicarsi in tempi limitati. A oggi i seppur interessanti progetti disseminati nel paese hanno conosciuto la concreta cantierizzazione in un solo caso, a Parma (il Parma Social House promosso da Comune, Parma Social House scarl con la consulenza di Finabita spa e Fondazione Housing Sociale).
L’altra finestra d’opportunità, per la nuova edilizia, è quella costituita dalle norme regionali sugli ampliamenti in deroga che, decollati in termini d’intesa stato-regioni il 1° aprile 2009, oggi mostrano segnali di domanda a macchia di leopardo per tre ragioni. La prima è di tipo contabile: non si rileva, tranne che in rari casi, l’impatto della norma sul territorio. Si tratta di uno degli aspetti più deboli nelle attività pubbliche regolative e regolamentative, e in generale di tutta l’attività normativa: l’assenza di strumenti di monitoraggio degli effetti delle norme. Sono rari i casi in cui il ministero preposto (o l’assessorato) abbia posto in essere un’attività di misurazione dell’impatto di un provvedimento normativo. Non è stato fatto ad esempio né con le leggi di regolamentazione e/o liberalizzazione degli affitti, né con i Contratti di quartiere.
Nel caso degli ampliamenti in deroga (le «misure urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle attività imprenditoriali edili» o gli altri modi in cui le regioni hanno declinato la medesima sostanza), il monitoraggio dei provvedimenti è affidato a quello che sembra essere solo un atto di volontarietà. Il secondo motivo che illustra il dispiegamento assai diversificato sul territorio deriva dalle caratteristiche del nostro suolo, che è ad elevata criticità sismica per il 46% della propria superficie: circa 6,3 milioni di edifici, poco meno della metà del patrimonio edilizio del paese, ricadono in zona 1 o 2. Nell’intesa stato-regioni venivano menzionati gli aspetti della sostenibilità energetica e della qualità architettonica ma non quelli antisismici. Il sisma in Abruzzo ebbe luogo cinque giorni dopo e, ovviamente, venne anticipata l’entrata in vigore delle Norme tecniche di costruzione approvate un anno prima. Gran parte delle regioni, nei diversi provvedimenti votati fra maggio 2009 e agosto 2010, fa riferimento alle tutele antisismiche da adottare o, comunque, alla legislazione nazionale in merito. Le norme nazionali prevedono che, in casi di ampliamento sull’esistente, oltre all’obbligatoria produzione di un certificato di sicurezza antisismica (non poco oneroso per le costruzioni realizzate non recentemente) sia indispensabile un adeguamento del manufatto sul cui corpo si voglia realizzare l’intervento. È evidente come il costo complessivo possa costituire una disincentivazione ad aumentare la cubatura del proprio immobile nelle aree a elevato rischio sismico. Una ricognizione effettuata dal Cresme fra i competenti uffici regionali rileva, attraverso i pareri rilasciati ai comuni, un’attenta osservanza della normativa antisismica sia per gli ampliamenti in sopraelevazione che in quelli in adiacenza all’edificio esistente.
L’altra ragione dei risultati così diversi sul territorio nazionale consiste nella revisione normativa, da parte di non pochissime regioni, in particolare sui termini di presentazione delle domande: Piemonte, Liguria, Umbria, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sardegna hanno deliberato (o stanno per farlo) la proroga dei termini mediamente di un anno. È evidente che in tale contesto gli interventi non saranno effettuati in uno o due anni ma, considerata la tempistica prevista per presentare la domanda di autorizzazione più i tempi necessari per il cantiere, dovrebbero protrarsi per almeno sei anni, dal 2010-2011 fino al 2015, e oltre.
Le potenzialità realizzative che questo provvedimento di rilancio dell’edilizia poteva avere all’atto del proprio avvio, a oggi sono state raggiunte, pertanto, solo in alcune aree del paese. Sicuramente nel Veneto e in Sardegna, molto parzialmente nel Friuli e nelle Marche, per nulla in Umbria. E queste sono le sole regioni in cui si è effettuato un monitoraggio delle domande.
Insomma, un meccanismo che ha dato, sia nelle dimensioni sia nei tempi, risultati ben al di sotto di quelli auspicati; sebbene, fra le famiglie proprietarie e gli operatori del settore, avesse suscitato non poche attese. Si pensi che in un’indagine campionaria rivolta ai possessori di edifici mono-bifamiliari nel marzo 2010, l’8,6% si dichiarava intenzionato ad ampliare il proprio immobile (era il 10,1% in un’analoga indagine del maggio 2009). In un sondaggio svolto invece fra industriali produttori di materiali per l’edilizia nel luglio 2009, il 42% degli intervistati metteva il Piano casa al primo posto fra i fattori positivi che avrebbero influenzato il mercato; la stessa rilevazione, condotta un paio di mesi fa, faceva scendere la stessa quota al 15%.
Infine, il Piano casa contenuto nel Decreto sviluppo non torna sull’argomento degli ampliamenti ma rilancia quello della demolizione e ricostruzione (e dei cambi di destinazione d’uso), finalizzato alla riqualificazione di parti urbane degradate. E lo fa contenendo al massimo i tempi di reazione legislativa delle regioni. Un provvedimento di deroga agli strumenti urbanistici per operazioni generalmente complesse, che prevedono anche la delocalizzazione delle volumetrie. Un tipo d’interventi, insomma, di carattere non diffusivo (come poteva essere per gli ampliamenti) e destinato, se efficace, non tanto al settore dell’edilizia nel suo complesso, quanto alla sola promozione immobiliare finanziariamente (si pensi a un cashflow in presenza di demolizione, ricostruzione e spostamento dei diritti edificatori) e patrimonialmente solida.

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Last modified: 10 Luglio 2015