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Rachele MichinelliWritten by: Progetti

Container: scatole dalle mille vite

La possibilità di un’architettura realizzata con elementi modulari, universali, replicabili e di matrice industriale ha accompagnato da sempre il pensiero di alcuni grandi maestri contemporanei, sia per i vantaggi tecnici che questo tipo di approccio può garantire, sia per le ricadute ideali che esso comporta: attraverso la modularità possono essere infatti garantite condizioni di equità spaziale, mentre la facilità di montaggio consente l’impiego in vari contesti. Un pensiero che ha sostanziato ad esempio l’impegno di Jean Prouvé, rimasto di stimolo per una ricerca tuttora presente.
L’utopia universale che l’architettura per sua complessità non ha avuto modo di realizzare è stata invece resa possibile dalle necessità del mondo mercantile: il container è, in un certo senso, un’unità di misura spaziale universalmente riconosciuta. Ed è su questi contenitori per merci da trasformare nell’unità architettonica «spazio» che oggi si è spostata parte dell’analisi sui sistemi modulari. Uno studio giustificato dalla consapevolezza che questi cassoni che hanno rivoluzionato gli scambi mercantili, facilitando il trasporto intermodale, sono universalmente disponibili. In diversi contesti è stato quindi sviluppato un loro utilizzo versatile con misure standard (2,438 x 12,192 m): residenze, scuole, centri culturali, luoghi per il commercio, caffetterie.
Nella maggior parte dei progetti la scelta dei container trova ispirazione dalla situazione stessa, come ad esempio in Sudan, in cui l’accatastamento dei cassoni adiacente al cantiere ne suggerisce il recupero; in altri il riferimento al luogo è ancora più forte perché parte costituente dell’immaginario urbano in cui il progetto interviene, come ad esempio a Le Havre o a Ravenna, in cui la vicinanza della città mercantile portuale ha suggerito di trasformare la memoria di quella visione in spazio animato di utilizzo quotidiano.
Lo studio Lot-Ek ha invece fatto dell’uso dei container uno dei caratteri distintivi della propria attività: negli interventi realizzati, infatti, gli elementi industriali aggregati in modo diverso a seconda della destinazione funzionale, sono inseriti nel contesto urbano come oggetti segnaletici (o come elegante landmark urbano reversibile nel caso della Platoon Kunsthalle degli studi Graft e Urbantainer). Per tutti vale il concetto del riutilizzo di una materia prima industriale e l’opportunità di un sistema costruttivo a secco, senza quindi ulteriore spreco di risorse; vantaggi non trascurabili se si considera la sempre crescente incombenza delle problematiche di sostenibilità ambientale.

Autore

  • Rachele Michinelli

    Laureata in Architettura a Ferrara nel 2002, dal 2001 al 2003 lavora a Parigi. Nel 2007 è visiting professor all’Universidad Nacional de Colombia di Bogotà. Nel 2009 consegue il dottorato presso il Politecnico di Torino. Dal 2006 collabora con Il Giornale dell’Architettura. Dal 2013 al 2015 è docente a contratto presso il Politecnico di Torino, nell’a.a. 2016/17 tutor presso l’Alta Scuola Politecnica dei Politecnici di Milano e Torino. Dopo una decennale esperienza come project manager e consulente alla direzione presso Studio Rolla per la gestione d'importanti trasformazioni urbane, fra cui il nuovo stadio della Juventus a Torino, nel 2018 fonda il proprio studio Viadelpino a Genova, occupandosi principalmente di consulenze procedurali e tecnico amministrative

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Last modified: 10 Luglio 2015