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Luca GibelloWritten by: Città e Territorio

Il proprio orticello o una visione metropolitana?

Le discussioni che hanno accompagnato la presentazione pubblica delle inchieste, dedicate da questo Giornale nei precedenti due numeri a Milano e Firenze, sono state occasione di riflessione circa lo stato della «questione urbana», tra molte analogie e poche (ma sostanziali) differenze. Tra le seconde, soprattutto la «febbre edilizia» del capoluogo lombardo, contrapposta ai veti incrociati e agli scontri interni («tra guelfi bianchi e guelfi neri») che paralizzano il capoluogo toscano.Due le analogie particolarmente significative. Diversi interventi hanno sottolineato come l’idea di città (e di spazio pubblico) non possa essere affidata solo alla vision, alla mission: anglicismi che vanno tanto di moda ma che spesso nascondono povertà di contenuti esplicitati attraverso slogan («la città inclusiva», «i volumi zero», ecc.). I vari piani dovrebbero essere anche in grado di disegnare lo spazio, saper dare forma ai vuoti, alle infrastrutture. Insomma, la frontiera della cosiddetta urbanistica di recente generazione, fatta di contrattazione pubblico-privata e di strumenti che sanciscono negozialità sugli intenti e sulle azioni, è apparsa di colpo superata da un rappel à l’ordre che trova la sua legittimazione nella morfologia urbana come matrice identitaria di cittadinanza, passando per la riproposizione zeviana del vuoto come «spazio costruito in negativo». L’istanza, considerata attualmente, non pare certo di retroguardia ma anzi suona come rivoluzionaria. Soprattutto se rapportata alle proposte parlamentari per la riforma della legge urbanistica che invece vanno verso la concertazione in cui il soggetto pubblico si limita a dare un «quadro di coerenza» ai vari appetiti dei privati che sono i reali motori delle trasformazioni.
La seconda analogia emerge con ancora maggiore forza (ed è ribadita in queste pagine dagli autori che illustrano il Piano strategico di Roma). Riguarda la critica alla dimensione dei piani urbanistici, legati ai confini amministrativi municipali. Un vincolo privo di senso soprattutto laddove gli agglomerati urbani funzionano e si leggono in termini di realtà metropolitane; con la conseguenza che le previsioni di governo del territorio possono presentare forti discrasie in contesti caratterizzati dall’assenza di soluzione di continuità. Qui, non è solo un problema di riforma della legislazione in materia urbanistica, ma anche di volontà politica a un livello più alto: l’istituzione delle «città metropolitane» a parole sembra invocata da tutti, ma nei fatti ognuno preferisce continuare a coltivare il proprio orticello, piccolo o grande che sia.

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 al 2024 è direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 10 Luglio 2015