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Written by: Design

Logorroici: le Dolomiti meritavano ben altra attenzione

Perché è difficile interpretare l’identità di un territorio attraverso un segno della comunicazione visiva? Perché è complessa, e la sola dimensione visiva spesso non è sufficiente a scatenare, in chi guarda, processi d’immedesimazione e appropriazione del contenuto semantico. Per questo motivo gli esiti del concorso per il nuovo logo della Fondazione Dolomiti Unesco, gestito dall’amministrazione provinciale di Trento e presentato nel capoluogo lo scorso 5 novembre, ha scatenato un’ondata di commenti negativi. Mugugno nazionalpopolare che ha messo in secondo piano la questione vera: come far dialogare attraverso un atto progettuale le quattro culture, non solo visive (italiana, sudtirolese, ladina e friulana) che condividono, abitandoli, quei luoghi. La giuria, presieduta da Cesare Micheletti, ha premiato (tra le 434 proposte pervenute) il designer Arnaldo Tranti, di Saint Cristophe (Aosta). E sinceramente non credo che sia interessante ragionare sul risultato e quindi sul logo vincitore.
La vera questione sta nel processo: i criteri di valutazione, a punteggio, gridano vendetta (caratteristiche espressive, max 40 punti, caratteristiche comunicative, 50 punti, relazione e manuale d’uso, 10 punti; la giuria ha assegnato i premi dopo un’audizione con gli assessori provinciali e regionali rappresentanti della Fondazione). Il concorso, burocraticamente inteso, non è un mezzo adatto per gestire situazioni progettuali di alta complessità e non è in grado di attivare quelle fasi di ricerca, sperimentazione e partecipazione necessari quando ci si relaziona con questioni così rilevanti d’identità territoriale. La vera questione è, ancora una volta, l’incapacità culturale della politica di assumere la responsabilità di un progetto con una grande significatività pubblica. Altroché Charles Landry o Rem Koolhaas o John Thackara o Alberto Magnaghi… Non ci serve immaginare il futuro. A noi piace solo il passato! O il pensiero visionario «avanzato» (è proprio il caso di dirlo…) degli assessori!
Le uniche parole sagge che emergono tra lo starnazzare risentito e polemico degli amministratori e notabili locali (con i cittadini «medi» alle calcagna, che si sentono usurpati della «loro» montagna) sono state quelle di critica al meccanismo del concorso aperto avanzate da Renzo di Renzo, ex direttore artistico di Fabrica, ora alla Fondazione Buziol di Venezia. «È stato un errore. Una questione legata all’immagine avrebbe dovuto essere affidata a nomi di primo piano; penso a Venezia che ha fatto realizzare il proprio logo da Philippe Starck. Quando un concorso apre la porta a tutti, è facile che manchi la qualità. Avrei puntato più sulla professionalità, ma si sa che in Italia oltre a essere tutti allenatori di calcio, sono pure tutti designer…». Amen

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Last modified: 10 Luglio 2015