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Ecco gli scambi che trasformano il mondo

Montreal. È una mostra politica e legata alla contemporaneità che affronta il tema degli scambi che hanno dato e danno forma al mondo, come dichiara con chiarezza lo stesso titolo della mostra: «Percorsi. Come la mobilità dei frutti, delle idee e delle architetture ricompone il nostro ambiente». Il quadro concettuale è seducente e solido e affronta temi di vario genere attraverso 15 grandi sezioni. Si racconta, ad esempio, la questione del trasporto delle noci di cocco attraverso l’Oceano Pacifico o dell’importazione degli Ibis reali del Nilo sulle sponde della Loira. O ancora del tentativo, da parte del quadro legislativo dell’Unione europea sulla coltivazione dei cetrioli, di unificare la forma di un vegetale che ha tante forme quante le nazioni europee. La questione delle migrazioni umane fa riflettere sui valori che ispirano l’architettura. Come nel caso delle case costruite dagli ex schiavi tornati nel loro paese d’origine, la Liberia, ispirate alle residenze dei funzionari statali del sud degli Stati Uniti. Il bungalow, che nell’Africa e nell’India dei primi anni del xx secolo era destinato a ospitare europei e alti funzionari, fu esportato in Gran Bretagna e divenne, a sua volta, oggetto colonizzatore diffondendosi nel mondo anglosassone.
Due esempi canadesi fanno luce sui tentativi di adattamento urbano. Le immagini dei pittoreschi spostamenti via mare delle case di Terranova tra il 1954 e il 1975 illustrano le migrazioni degli abitanti incoraggiati dal governo a trasferirsi nelle aree più pescose. Il piano di Wells Coates, non realizzato, per la città nuova di Iroquois dimostra il tentativo di realizzare un luogo in grado di unire le esperienze britanniche e americane, e l’astrazione di un’utopia tecnica che cerca la liberazione dal passato coloniale. I numerosi esempi di migrazioni per lavoro testimoniano in modi diversi il contributo all’architettura quotidiana dei più umili che ha portato, ad esempio, alla nascita di un nuovo luogo di scambio e aggregazione: i centri per le telefonate interurbane. E raccontano come i 100.000 senegalesi emigrati in Italia per lavoro inviano circa 400 milioni di dollari, fra oggetti, materiali e soldi nel loro paese. O come gli agricoltori giapponesi in Bolivia modellano gli usi e le forme del luogo, ognuno a modo suo.
Secondo l’architetto Giovanna Borasi, curatrice della mostra, l’immigrazione è una delle principali fonti di cambiamento nel mondo e, ieri come oggi, riguarda i più intraprendenti che partono per migliorare le loro sorti economiche, sociali o politiche. La prospettiva si rifà dunque al liberalismo classico e pone l’accento sull’impegno individuale. Si tratta di scegliere, nell’ambiente d’origine o di adozione, se integrarsi rispettando le convenzioni o trovare il proprio posto introducendo nuovi valori, immagini e idee. In questo senso, ma senza mai farvi riferimento, la mostra si colloca all’interno della discussa prospettiva del multiculturalismo in Canada. Gli esempi di trasferimento culturale testimoniano a volte tanto il contributo degli immigranti quanto i limiti delle loro influenze. L’immigrazione dei tagliatori di pietre italiani, accolti nel Vermont a fine Ottocento per essere impiegati nelle cave e sviluppare l’industria del marmo, evoca con eloquenza il trasferimento di competenze che toccano direttamente la costruzione di un Nuovo Mondo. Tuttavia, l’architettura del loro edificio associativo, se si esclude il medaglione scolpito con i simboli degli ideali socialisti dei membri, segue lo stile dell’architettura pubblica americana.
Il lavoro semantico che spiega le 15 traiettorie è notevole per la sua delicata definizione di percorso. I testi francesi e inglesi scelgono con prudenza le parole: non cercano la traduzione letterale e si rivolgono invece a quella che meglio si adatta allo spirito di ciascuna lingua. Questa precisione cerca di superare le approssimazioni bilingue che costellano l’esperienza quotidiana degli abitanti di Montréal, siano essi d’origine o d’adozione.
Il tema della trasformazione dell’ambiente e la natura degli esempi scelti permettono di conoscere storie operative di pianificazione mentre i percorsi evocano, nelle forme e nei contenuti, le ambizioni e i limiti delle intenzioni e dei contributi individuali rispetto alle realtà collettive.
Il bel libro che accompagna la mostra non sembra un catalogo quanto piuttosto una raccolta di 17 brevi saggi sui 15 percorsi presentati che offre interessanti spunti di riflessione.

Trajets: comment la mobilité des fruits, des idées et des architectures recompose notre environnement, a cura di Giovanna Borasi
Montréal, Centre Canadien d’Architecture, fino al 13 marzo

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Last modified: 10 Luglio 2015