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Manuela MartorelliWritten by: Interviste

In Olanda l’ultimo grattacielo? Risponde Ben Van Berkel

AMSTERDAM. Con il completamento della torre per uffici progettata da UNstudio si aggiunge un altro tassello al discusso distretto finanziario Zuidas. La torre, alta 118 m per 21 piani, fa parte del settore Mahler 4, un avveniristico pezzo di città in cui viene declinata l’architettura contemporanea attraverso l’edificio alto da firme internazionali come Rafael Viñoly, Toyo Ito, Som, de Architekten Cie. Che l’intera operazione viaggiasse in acque non proprio tranquille era già noto dal 2009, quando vennero avanzate aspre critiche da parte della comunità scientifica dopo la decisione dell’assessore ai lavori pubblici di Amsterdam, Maarten van Poelgeest, di stanziare fondi per arginare il dietrofront degli istituti di credito coinvolti. È però nel giugno scorso che Van Poelgeest ha annunciato lo stop di tutte le opere in corso e in programma, dichiarando quanto la crisi finanziaria abbia trascinato in rosso i bilanci. Ed è proprio Zuidas a essere la maggior voce sotto accusa (con una perdita di 230 milioni nel solo scorso anno), portando alla luce un elemento cruciale: il mercato degli edifici per uffici è collassato non solo per la crisi dei crediti ma soprattutto perché le modalità di lavoro sono orientate sempre più alla flessibilità. Nessuna società è più interessata a destinare 25 mq per impiegato e disporre di spazi di lusso. La torre di UNStudio è dunque forse l’ultima tappa di un’odissea giunta al capolinea o si possono immaginare prospettive diverse? Abbiamo chiesto a Ben van Berkel, titolare di UNStudio, d’illustrarci il progetto ma anche la più generale situazione che sta attraversando oggi la professione di architetto.

In una delle relazioni di progetto lei ha dichiarato quanto il sistema «a griglia» introdotto in questa torre garantisca una flessibilità tale da inglobare un potenziale cambiamento di destinazione d’uso a residenziale. Questo tipo di approccio è particolarmente interessante in un momento che vede l’area di Zuidas in una posizione molto critica, visto l’alto numero di uffici sfitti. Che cosa implica una scelta del genere?
Per UNStudio esiste uno specifico modo di pensare che ci permette di risolvere una questione del genere. Partendo dalla legislazione in materia consideriamo la quantità di luce diurna che sarà disponibile, il programma, la gamma cromatica e tutti gli elementi del progetto sovrapponendo i diversi layer in quello che noi chiamiamo parametric system. Tutti i valori subiscono una trasformazione nel momento in cui si decide di cambiare qualcosa producendo una diversa architettura. Quello che è centrale in questo caso è la facciata: il cambiamento dei valori dell’esterno dev’essere traslato nell’organizzazione interna. 

Quanto la facciata dunque incide sulla sostenibilità dell’edificio? 
Ci sono tre elementi fondamentali nell’organizzazione della facciata di questo edificio che determinano la sua sostenibilità: la texture, l’uso dell’alluminio, il tipo di vetro che abbiamo scelto. La texture è centrale in questo progetto perché la luce solare trasmessa è direttamente legata a essa. Alla sommità dell’edificio naturalmente si ha più luce ed è lì dunque che abbiamo scelto di «chiudere» maggiormente attraverso le lamelle in alluminio, allo stesso modo avviene nel lato a sud, differenziando la texture. L’uso dell’alluminio in se è inoltre un altro punto verso la sostenibilità in quanto in Olanda è completamente riciclabile. L’ultimo elemento importante è il vetro. Abbiamo scelto un vetro molto speciale, il clear glass, che conferisce grande trasparenza ma che necessita di un film per controllare la quantità di luce e l’eccessivo riscaldamento.

Elementi caratteristici dell’edificio sono quelli che voi avete soprannominato voids, i «buchi».
Tutto nasce da una limitazione, come molte delle nostre architetture. Per la legislazione olandese l’edificio che avevamo in mente era eccessivamente massiccio, largo, in quanto la quantità di luce che sarebbe arrivata all’interno sarebbe stata insufficiente. Abbiamo dunque dovuto «svuotarlo». Questa però è stata una sfida che ci ha permesso di apportare un elemento chiave in vista di eventuali riconversioni a uso residenziale: questi voids infatti possono diventare balconi privati. È stato divertente trasformare una limitazione in un’opportunità!

Ci sono state molte più limitazioni? Il cantiere è durato sei anni. La crisi finanziaria ha inciso su questo ritardo?
In realtà non molto. Il piano regolatore è stato redatto nel 1999 e il budget era già stato stanziato. Ma devo però ammettere che oggi nessuno è più interessato alla realizzazione di edifici enormi, XL. Stiamo lavorando a un progetto a Londra ed è difficile portare avanti un’opera di questa scala. In questo frangente stiamo assistendo, dappertutto ma soprattutto in Europa, a un disinteresse da parte d’investitori ed enti locali verso tale tipo d’interventi. Si tratta di una questione cruciale.

Come sopravvivere a questa crisi? Forse spostandosi nel mercato mediorientale o asiatico come molti studi stanno facendo? Oppure sono possibili altre scelte intrinseche al senso stesso del fare architettura?
A mio parere bisogna riflettere su come affrontare questa professione: ovvero, che tipo di architettura si vuole fare. In posti come ad esempio Francia o Spagna ci focalizziamo sempre sulla cultura urbana, sul patrimonio artistico, sulla storia. Penso che sia proprio una questione di che significato dare alla professione dell’architetto. Per noi è importante focalizzarsi sul «contenuto» del fare architettura. Esiste una forte crisi, ma non per forza vuol dire che è una cosa negativa su tutti i fronti, perché per esempio costringe i professionisti a concentrarsi sulla «sostanza» e a trovare un modo per uscirne. Per esempio, guardiamo al significato intrinseco del termine sostenibilità: attualmente, è davvero un concetto abusato e distorto da tutti. Ma che significato ha realmente? Bisogna considerare il concetto di sostenibilità e rapportarlo ai desiderata del cliente, alla sua disponibilità a spendere, all’andamento dell’economia di quel paese. È davvero una questione di disponibilità economica e di qualità.

Autore

  • Manuela Martorelli

    Dopo gli studi in architettura prima al Politecnico di Torino e poi a Rotterdam, ha iniziato un percorso da giornalista freelance con un focus in materia di architettura contemporanea e politiche urbane dei Paesi Bassi collaborando con diverse riveste di architettura e pubblicando con NAi publisher un saggio su OMA e gli anni d’oro dell’architettura olandese. Nel 2010, dopo alcune ricerche indipendenti sulla storia del costume, ha iniziato parallelamente un percorso giornalistico e di creative direction nel mondo della moda prima come corrispondente online per Vogue Italia e in seguito per i-D, Domus, A Shaded View on Fashion. Di recente pubblicazione un testo critico di ricerca sulle influenze dell’arte visiva e delle installazioni di architettura nelle sfilate di moda contemporanea per la rivista indipendente Prestage e due servizi fotografici per L’Officiel Netherlands. È autrice delle recenti guide di architettura e design di Rotterdam per il mensile Living del «Corriere della Sera» e per «Vogue Casa Brasile».

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Last modified: 13 Luglio 2015