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Massimo Pica CiamarraWritten by: Progetti

Convergenze e latitanze

Questa di Kazuyo Sejima consolida la serie delle Biennali che pongono all’attenzione internazionale declinazioni di temi generali. «People meet in architecture» è un titolo splendido, acuta sintesi di questioni antiche e attuali. «Ailati », la riflessione di Luca Molinari, curatore del Padiglione italiano, scava nella stessa direzione; così altri padiglioni nazionali. Accantonato ogni equivoco, l’architettura (tecnica e arte civile) afferma il suo ruolo sociale. «Less architects, more architecture» – come anche le questioni proposte dall’In/Arch quest’anno nella sua prima partecipazione veneziana. Come sempre interpretazioni plurime, ma la 12. Mostra internazionale di Architettura è ben singolare. Irrompe nel dibattito contemporaneo con messaggi semplici (comprensibili a chiunque viva o s’incontri in ambienti costruiti) peraltro che aleggiano da tempo: a più di cinquant’anni dalle tesi del Team X; un po’ meno da Architecture without architects, la provocatoria apologia di Bernard Rudofsky; a quasi quaranta da Architecture de surviedi Yona Friedman che ad aprile era in mostra ai Magazzini del sale; a pochi mesi dal convegno della Fondazione Zevi Per un’architettura e un’arte frugale; a poche settimane da l’Eloge du vide di Jorge Cruz Pinto sull’ultimo numero del «Carré Bleu». Le ampie condivisioni di principio, le forti convergenze culturali, mancano però di adeguati riscontri nelle prassi. «Ailati » (aspira a un palindromo?) si avvale d’installazioni come metafore ed esplora il futuro, soprattutto ospita alcuni giovani eroi che iniettano fiducia con esempi coraggiosi di spazi ad alto contenuto civile immessi nei magmi soffocanti prodotti dai più. Senza rinunciare a sperimentazioni innovative sugli assunti della sostenibilità, declinando in forme nuove il «privilegio al paesaggio» e la cultura delle stratificazioni, tutto riafferma che compito primo del costruire è contribuire al miglioramento della condizione umana. «People meet in architecture» attiva una riflessione su architettura, nuovi valori e stili di vita; può proiettare un’ombra lunga, può far uscire dal torpore, innescare conseguenze. Può segnare l’eclissi delle archistar, il disinteresse per autonomie disancorate dai contesti, la presa di coscienza che l’assenza di qualità favorisce criminalità e devianze. Nel nostro contesto stimola la qualità della domanda, precondizione della «qualità diffusa», perché domande ben poste e articolate richiedono buoni progetti e buone realizzazioni e poi incidono sui processi formativi e sui vari fattori della filiera produttiva. Quindi sprona anche la committenza pubblica: strumento per elevare le relazioni tra individui/attività/spazi, l’architettura ha il compito di generare una res publica tesa ad aggregare e dare senso a ogni comunità. Quasi simultanea Shanghai 2010 «Better City, Better Life» attraverso Urbanian / City Being / Urban Planet sembra enunci obiettivi analoghi. Mostra eccezionali sperimentazioni; delinea una rigenerazione urbana polimerica, senza precedenti per dimensioni e chiarezza di programma. Afferma però futuri diversi da quelli sottesi alle variegate ma convergenti linee della mostra veneziana. Convegni, congressi, libri, riviste, mostre, istituti, associazioni: sono utili per quanto aiutino davvero a cambiare le cose. Venezia 2010 spinge verso coraggiose mutazioni: i suoi messaggi non possono riecheggiare solo in mondi ristretti, devono far riflettere e produrre effetti, dovrebbero improntare il senso comune, rimbalzare con energia per raggiungere nel profondo politica e governi regionali perché, diceva Gandhi, «in democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica». Ma i nostri governi, al di là del condividere le conferenze delle Nazioni unite sugli insediamenti umani o del sottoscrivere abulicamente le risoluzioni dell’Unione europea (anche quella che proprio su questi temi sollecita «politiche esemplari»), hanno mai dedicato anche una sola seduta a riflettere, in termini strutturali, su come promuovere la qualità delle trasformazioni del territorio? Il Parlamento, i politici, hanno coscienza che regole e procedure sono, fra i principali ostacoli alla qualità dei paesaggi voluta dalla Costituzione?

Autore

  • Massimo Pica Ciamarra

    Nato a Napoli nel 1937. Docente di Progettazione architettonica dal 1971 al 2007; tra i fondatori dell’Istituto per la diffusione della cultura scientifica; vicepresidente IN/ARCH (1997-2011); presidente comitati scientifici “Bioarchitettura®” e IN/ARCH; docente dell'International Academy of Architecture; presidente dell'Observatoire International de l’Architecture e promotore della “Directive européenne sur l’architecture et le cadre de vie”. Dal 2006 dirige “Le Carré Bleu, feuille internationale d’architecture”. Fra i libri: “Integrare” (Jaca Book 2010); “Etimo: costruire secondo principi” (Liguori 2004); “Interazioni” (Clean 1997); “La cultura del progetto” (Graffiti 1996); “Qualità e concezione del progetto” (Officina 1994); “Architettura e dimensione urbana” (Ceec 1977). Sulla decennale attività dello studio da lui fondato è in uscita “Dai frammenti urbani ai frammenti ecologici - Architettura dei Pica Ciamarra Associati” (di Antonietta Iolanda Lima, Jaca Book 2016)

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Last modified: 14 Luglio 2015