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Massimo Pica CiamarraWritten by: Professione e Formazione

Riforma delle professioni: l’opinione di Massimo Pica Ciamarra

Le «riforme» segnano punti critici, momenti di svolta nei quali, prendendo atto di mutazioni e processi, quanto regola un settore viene adeguato.
Sulla riforma delle professioni intellettuali si susseguono tentativi, anzi coesistono, sostenuti da interessi di categoria, anche se autoproclamano la difesa degli interessi dei cittadini. Il ministro Angelino Alfano afferma che il suo ddl nasce «per mettere al centro il cittadino, garantendo un’alta qualità delle prestazioni rese dai professionisti, tariffe chiare e trasparenti che non siano un labirinto ma un rettilineo e, allo stesso tempo, assicurando ai professionisti la dignità e il prestigio che derivano dal loro essere laureati che hanno superato un esame di Stato». Istanze generali da condividere, che però impongono qualcosa di diverso dal testo proposto.
Poiché le professioni sono molte e varie, le proposte di riforma tendono ad assumere forma di «leggi-quadro» con rinvii a disposizioni specifiche: ma una sana legge di principi deve delineare azioni incisive.
Nelle professioni intellettuali prevalgono opera d’ingegno, sistemi di conoscenze, messa in relazione di elementi in grado di fornire particolari servizi alla collettività. Poi una cosa sono le attività professionali di «consulenza», altro quelle che forniscono «servizi» dove comunque prevale l’opera d’ingegno.
Nelle prime è massimo l’apporto individuale, nelle altre, alle quali qui mi riferisco, sono ormai determinanti fattori organizzativi e tecnologici. Infatti le domande poste dalla condizione contemporanea richiedono sempre maggiori aggiornamenti e sviluppi di conoscenze; integrazione e interazioni fra competenze; tecnologie e supporti che si traducono in organizzazione e attrezzature in costante evoluzione.
La qualità delle prestazioni professionali (obiettivo indiscutibile) non si persegue solo riordinando le professioni (chi offre risposte), ma agendo simultaneamente sui modi in cui viene formulata la domanda. Peraltro è inconcepibile, ad esempio, riformare l’attività dell’architetto senza scardinare quanto anima i decreti 163/2006 (il Codice dei Contratti) e 554/1999 (il Regolamento della legge Merloni).
Molto va anche fatto perché i professionisti abbiano, come dice il ministro, «la dignità e il prestigio che derivano dal loro essere laureati che hanno superato un esame di Stato». I processi formativi dovrebbero alimentarsi del rapporto teoria/pratica ed educare alla collaborazione; tirocini ed esami di stato dovrebbero assumere forme pertinenti e acute; il sistema legislativo e fiscale dovrebbe effettivamente favorire aggregazioni professionali, pluridisciplinari e con compresenze generazionali. Inoltre, quali che siano le forme aggregative dell’esercizio professionale, ne è presupposto un codice deontologico unico, esteso cioè anche a soci e componenti degli eventuali organi gestionali ed amministrativi.
Invece che questi temi, il dibattito sembra assumere come centrale la questione delle remunerazioni delle attività professionali. Le tariffe, abolite qualche anno fa con un provvedimento mal valutato, vanno rimesse in vigore nell’immediato, ma in via provvisoria perché la riforma delle professioni impone l’attenta articolazione di un sistema di costi predefiniti, chiari per chi deve farvi fronte, con una fascia minimo/massimo non più basata su apodittiche percentuali, ma che valuti quanto costa fornire un servizio, prevalentemente intellettuale, che necessita di cultura, ma anche di congrui tempi di maturazione e idonee organizzazioni.
La società e il mercato hanno oggi bisogno di innovazione, di organizzazione del lavoro, di saldatura fra competenze tecniche e competenze umanistiche, ad esempio di gruppi che progettino edifici e il futuro delle nostre città non composti solo da architetti e ingegneri, ma che includano economisti, sociologi, psicologi, filosofi e poeti. L’assenza di qualità nei nostri territori deriva anzitutto dal materializzarsi di visioni settoriali. Per ottenere qualità delle prestazioni professionali, occorre cultura dell’integrazione, intelligenza collettiva affrancata da ottiche specialistiche e in grado di assicurare, nelle condizioni contemporanee, ampiezza di vedute almeno analoga a quella di chi, a volte solo, agiva nelle società del passato.

Autore

  • Massimo Pica Ciamarra

    Nato a Napoli nel 1937. Docente di Progettazione architettonica dal 1971 al 2007; tra i fondatori dell’Istituto per la diffusione della cultura scientifica; vicepresidente IN/ARCH (1997-2011); presidente comitati scientifici “Bioarchitettura®” e IN/ARCH; docente dell'International Academy of Architecture; presidente dell'Observatoire International de l’Architecture e promotore della “Directive européenne sur l’architecture et le cadre de vie”. Dal 2006 dirige “Le Carré Bleu, feuille internationale d’architecture”. Fra i libri: “Integrare” (Jaca Book 2010); “Etimo: costruire secondo principi” (Liguori 2004); “Interazioni” (Clean 1997); “La cultura del progetto” (Graffiti 1996); “Qualità e concezione del progetto” (Officina 1994); “Architettura e dimensione urbana” (Ceec 1977). Sulla decennale attività dello studio da lui fondato è in uscita “Dai frammenti urbani ai frammenti ecologici - Architettura dei Pica Ciamarra Associati” (di Antonietta Iolanda Lima, Jaca Book 2016)

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Last modified: 16 Luglio 2015