A dieci anni dallintroduzione del 3+2, il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno? Ragionando sui dati delle due più recenti analisi redatte da AlmaLaurea, la XII indagine sui laureati presentata il 28 maggio a Bologna, e il XII rapporto sulla condizione occupazionale a uno, tre e cinque anni dalla laurea (cfr. «Il Giornale dellArchitettura», n. 83, aprile 2010), questa è la domanda che sorge più spontanea. Confrontando i dati emergono infatti in modo distinto i tratti delle due facce della medaglia «gruppo Architettura» (che riunisce Architettura, Pianificazione e Disegno industriale): la formazione e la professione.
Da una parte, gli ultimi dati sui laureati, che costituiscono a pieno titolo il primo vero bilancio del 3+2 e dellUniversità riformata, possono portare a vedere il bicchiere mezzo pieno: secondo il direttore di AlmaLaurea Andrea Cammelli i risultati, «al di là delle tante cose di cui lUniversità si deve emendare, delle difficoltà, senza finanziamenti adeguati e con continue riforme, sono complessivamente più confortanti di quanto non vadano ripetendo i tanti cultori del flop della riforma. E non sarebbero stati possibili senza limpegno continuo e non riconosciuto dei tanti docenti e ricercatori, veri e propri samaritani della cultura e della ricerca». I numeri in effetti indicano come il gruppo sia diventato più attrattivo, sicuramente grazie anche al Design: dal 2001 al 2009, nellincremento del numero complessivo di laureati da 104.901 a 189.746, i futuri architetti sono passati dal 4,3 al 5,2%. Architettura è anche sempre più «rosa» (le laureate nel 2009 sono il 53,3% contro il 51,2% nel 2001) e aperta (il 67,4% porta la laurea in famiglia per la prima volta e più di un quinto, il 22%, ha i genitori privi di titoli distruzione o solo in possesso di quelli inferiori). Sembra inoltre rispondere abbastanza alle aspettative di chi sceglie i suoi corsi: l81,7% complessivo è soddisfatto (ma solo il 24,5% è pienamente convinto), mentre quasi l80% rifarebbe la stessa scelta. La riforma ha poi portato un consistente miglioramento nella regolarità degli studi che ha abbassato letà della laurea, con il 24,5% di dottori in corso e un altro 46,9 che conclude entro il secondo anno fuori corso. Gli stage e i tirocini attivati e frequentati hanno migliorato anche il rapporto con il mondo del lavoro nel quale, una volta discussa la tesi, vorrebbero trovare in prevalenza unoccupazione a tempo indeterminato (l83,5%) che consenta lacquisizione di professionalità con possibilità di carriera e guadagno.
Le note dolenti, che farebbero vedere il bicchiere mezzo vuoto, iniziano a sentirsi se si considera il rapporto delle nostre facoltà con lestero. I programmi Erasmus e Socrates hanno aumentato la mobilità degli studenti (il 7,8%, soprattutto nel biennio, ha avuto unesperienza di studio allestero, secondi solo dopo Lingue), raggiungendo uno degli obiettivi fissati dalla riforma, ma sta aumentando (legata soprattutto alle possibilità economiche della famiglia di origine) la quota che emigra per acquisire il titolo di studio e decisamente scarsa è lattrattività internazionale dei nostri corsi, frequentati solo dal 3,3% di stranieri (quota che però supera la media di 2,7%).
Altro punto difficile, che pone «seri interrogativi sulla capacità dellimpianto riformatore di corrispondere agli obiettivi che si era prefisso», è la propensione più che alta a proseguire gli studi. La tendenza è prevalente nei laureati di primo livello, il 68,4% dei quali siscrive al biennio, ma non risparmia nemmeno i laureati a ciclo unico e del +2, che vorrebbero continuare soprattutto frequentando un master (rispettivamente il 10,9% e l8,8%) o, secondo percentuali eccessive per il percosro, un dottorato di ricerca (9,2% e 8,2%).
Dallaltra parte, i segnali che il mondo professionale sta lanciando sono il necessario, e preoccupante, controcanto.
Dallaffollamento dei suoi 144.000 architetti (che, senza contare ingegneri, geometri e periti vari, sono 1 ogni 400 abitanti contro la media europea di 1 ogni 1.600), il mondo della professione sembra infatti sempre più in difficoltà verso i nuovi arrivati: nonostante i tassi occupazionali abbiano limitato i danni (ma gli ultimi dati del Consorzio sono relativi ai primi mesi della crisi che stiamo attraversando), le prospettive non sono buone sia sul fronte delle retribuzioni, sempre più basse (ampiamente al di sotto dei 1.000 euro netti a un anno dalla laurea) e destinate a scendere nel prossimo futuro, che per loccupazione femminile sempre più penalizzata (i guadagni sono mediamente il 13% in meno rispetto agli uomini).
Significativo il monito con cui Cammelli commenta questo quadro a doppia faccia: «i giovani, anche i più preparati, rischiano di restare intrappolati fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca carente di mezzi. Perché è certo che lo stesso esercito dei samaritani non sarà sufficiente a garantire la ripresa e un futuro di sviluppo se il paese continuerà a non considerare gli investimenti in formazione superiore e ricerca come investimenti prioritari e strategici».
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