Ora che la situazione dei concorsi di progettazione in Italia sta per raggiungere il punto più basso, è opportuno cominciare ricostruendone la parabola.
Tra la metà degli anni novanta e la metà degli anni Duemila è racchiusa leffimera speranza che questo strumento possa contribuire a migliorare la situazione dellarchitettura italiana, almeno nel campo delle opere pubbliche. Lincremento del numero delle occasioni e dellinteresse per i concorsi è uno degli effetti del nuovo protagonismo dei sindaci a elezione diretta, alcuni dei quali sispirano al modello del Mitterrand patrono delle grandi opere parigine. Il Consiglio nazionale degli architetti promuove allora una campagna dopinione, alla fine degli anni novanta viene istituita la Direzione per larchitettura contemporanea del ministero per i Beni culturali, e sinizia a parlare di una legge per larchitettura. Alla base di queste spinte agisce un desiderio di adeguarsi almeno agli standard europei che trova echi in altri settori della vita pubblica italiana. Cè dellironia nel fatto che il colpo finale ai concorsi di progettazione sia assestato dal maldestro recepimento di norme europee in materia di fornitura di servizi alla pubblica amministrazione.
Il declino inizia nella seconda metà del decennio, tra la fine della gestazione della legge Merloni e il Dlgs 163 del 2006, il famigerato Codice degli appalti. La Merloni (n. 109/1994, legge quadro in materia di lavori pubblici [Merloni ter]) è agnostica nei confronti dei concorsi; non li incoraggia ma ne permette uno svolgimento adattato alle circostanze. Inoltre la sua lunga elaborazione dà la sensazione di muoversi in una fase sperimentale che però non dà frutti perché nessuno la gestisce raccogliendo i dati, indicando dei modelli, monitorando le esperienze, fornendo dei supporti, facendo circolare linformazione e investendo nella promozione.
Si arriva così alla situazione attuale, che devessere esaminata sotto tre aspetti: quello della prassi (documentata ampiamente da questo numero del Giornale), quello delle regole e quello degli architetti – vittime, ma talvolta anche complici della situazione. Un concorso comincia quando un amministratore pubblico e un funzionario decidono dinvestirvi delle risorse. Le critiche alla preparazione sono diffuse, ma prima ancora si deve notare il carattere di eccezionalità, di forte scelta strategica legata al progetto, che accompagna quasi tutti i concorsi di progettazione superstiti. Questo fa del bando un evento mediatico, richiamato nella home page del sito web del Comune. Detto in breve, sui pochi concorsi che si fanno nelle grandi città, si spendono somme ingenti. Ciò diventa circolarmente un disincentivo a bandirli. Chi ha partecipato ai concorsi in Germania, ad esempio, sa che negli anni è stata affinata una gestione molto austera, accompagnata da sistemi di comunicazione efficaci, e dalla possibilità di esternalizzare la gestione del concorso affidandola a professionisti più efficienti ed economici degli uffici pubblici. In molti casi questi ultimi sono inevitabilmente costosi quando vengono isituiti ad hoc, e impreparati quando improvvisano.
Una volta scelto il vincitore, potremmo dire che il concorso è più o meno andato a buon fine se viene conferito un incarico professionale. Lesperienza dimostra che molti programmi si arenano qui. Le cause più frequenti sono due: le nuove regole per gli incarichi di cui si dirà più oltre, e la tradizionale volubilità della politica locale, più veloce a cambiare opinioni e assessori che ad aprire i cantieri.
Ma a riprendere il filo di quella sperimentazione interrotta a metà decennio chi ci dovrebbe pensare? E poi, è possibile farlo senza cambiare il Codice degli appalti? Comunque la Parc è stata quasi azzerata, il Cna non fa più campagne, il ministero dei Lavori pubblici non ha mai bandito un concorso, lAutorità di vigilanza non ha mai fatto sapere niente in merito; anzi a molti è capitato di dover pagare allAutorità un balzello di decine di euro per partecipare a concorsi male organizzati.
Veniamo dunque alle regole. Per capire come stanno le cose bisogna confrontarsi con un avvocato esperto di diritto amministrativo: vi spiegherà il problema delle forche caudine; poi per vostro conto vi misurerete con le norme cervellotiche. Il primo punto tuttavia è quello decisivo: se non puoi nemmeno partecipare al gioco, importa poco che le sue regole non siano le migliori. Ai concorsi di progettazione possono accedere solo i professionisti in possesso dei requisiti tecnici e finanziari analoghi a quelli previsti per gli appalti di servizi e di costruzioni. Questo vuol dire avere molti dipendenti in regola, grandi fatturati per cinque o dieci anni, e certificazioni puntigliose di avere svolto incarichi e realizzazioni per «n» volte il valore del progetto messo a concorso. Queste soglie escludono oltre il 90% degli architetti italiani. Per concorrere alla progettazione di un centro culturale in un paesino della Calabria che sarebbe costato un milione, mi è stato chiesto di dimostrare di avere avuto 12 dipendenti negli ultimi tre anni.
Ci sono due sole vie per partecipare lo stesso. La prima è formare unassociazione dimprese con un soggetto (tipicamente una società dingegneria) che «ha i numeri». A quel punto il progettista di solito non è più il capogruppo. La seconda possibilità è listituto dellavvalimento, che sta diventando popolarmente noto come «lavvilimento». Si tratta di stipulare un contratto oneroso con un soggetto che simpegna a «prestarti» i suoi requisiti, ma che se poi sarai incaricato, non potrà lavorare con te. La durezza di questo meccanismo ha prodotto un effimero revival dei concorsi didee, che nel decennio precedente erano caduti in disgrazia perché non davano garanzie di proseguire con una realizzazione. Tuttavia questa scorciatoia è unillusione: il Codice degli appalti dice che è possibile incaricare il vincitore di un concorso didee, ma solo se è in possesso dei requisiti. Quindi se questi non sono stabiliti e verificati a priori, come avviene in molti bandi di questo tipo, non se ne fa niente.
Per fare un solo esempio chiaro e rilevante: per quanto detto finora, è impossibile che chi vince oggi un concorso Europan in Italia riceva un incarico pubblico e realizzi il suo progetto. Sarebbe più dignitoso a questo punto che il nostro paese si ritirasse ufficialmente dal programma. Il bilancio delle edizioni precedenti era già peggiore di quello degli altri paesi, ma ora che quel concorso qui da noi non ha basi giuridiche, a che serve continuare? Sarà un caso che nel 2010 cera un solo sito a Genova? Consoliamoci, se volete, con il fatto che tra vincitori e i segnalati di questanno molti, in giro per lEuropa, sono italiani. Ci sono poi le strane regole cui devono sottostare quelli che ancora provano a bandirli, i concorsi. Per esempio, i concorrenti devono essere sempre e solo dieci. Ma soprattutto esiste un unico tipo di giuria nominata a posteriori con criteri presi di peso da quelli per laggiudicazione degli appalti dei lavori. Basti dire che in senso stretto non potrebbe esserci un membro straniero.
E gli architetti? Il problema in verità non riguarda gli oltre 140.000 professionisti, ma unélite di poche migliaia. Sarebbe interessante sapere quanti sono, magari utilizzando i database di siti internet come Europaconcorsi. La cosa che stupisce è la loro passività. La situazione è così grave che, senza arrivare a immolarsi come i bonzi vietnamiti, ci si aspetterebbe almeno qualche rimostranza. Nelle poche occasioni di dibattito pubblico emerge lossessione che il problema stia nella correttezza delle giurie. Altrove si registra anche una fuga nelle carte bollate e nei ricorsi in tribunale, oppure si fa strada la richiesta che tutto sia sterilizzato da nuove minuziose norme. E invece quando tutto è sterilizzato dai punteggi, come già avviene nelle gare, è allora che la discrezionalità diventa assoluta.
La scelta di un progetto da parte di una giuria è un processo nel quale la responsabilità culturale è ineliminabile. Per ridurre lincidenza dei fattori negativi che alimentano la cultura del sospetto, il miglior rimedio è moltiplicare le occasioni. Ma se la situazione non cambierà, i concorsi di architettura saranno invece sempre meno numerosi.
Articoli recenti
- Modello albanese? Problema architettonico 8 Gennaio 2025
- Yoshio Taniguchi (1937-2024) 7 Gennaio 2025
- Quo vadis architetto? Tre architetti e una villa, la E-1027 6 Gennaio 2025
- Da Koolhaas a Morozzo della Rocca, se la teoria è progetto 5 Gennaio 2025
- Ri_visitati. Le Albere a Trento: sogni, treni e appartamenti vuoti 3 Gennaio 2025
- Il mio commiato al Giornale, miracolo che si rinnova settimanalmente 1 Gennaio 2025
- L’archintruso. Calendario 2025 per architetti devoti 19 Dicembre 2024
- 30 racconti per un anno 18 Dicembre 2024
- Inchiesta: Roma e il Giubileo 18 Dicembre 2024
- Brescia: dalla mostra al museo al territorio 18 Dicembre 2024
- Tobia Scarpa, 90 anni e non sentirli 18 Dicembre 2024
- Salvare Milano ma non sfasciare l’Italia 16 Dicembre 2024
- Reinventare il costruito con il riuso adattivo 16 Dicembre 2024
- “Paesaggi aperti”, per dare valore ai territori 16 Dicembre 2024
Tag
Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.
Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369
Fondatore: Carlo Olmo. Direttore: Luca Gibello. Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Michele Roda, Veronica Rodenigo, Ubaldo Spina.
«Il Giornale dell’Architettura» è un marchio registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. all’associazione culturale The Architectural Post; ilgiornaledellarchitettura.com è un Domain Name registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. a The Architectural Post, nuovo editore della testata digitale, derivata e di proprietà di «Il Giornale dell’Architettura» fondato nell’anno 2002 dalla casa editrice Umberto Allemandi & C. S.p.A.
L’archivio storico
CLICCA QUI ed effettua l’accesso per sfogliare tutti i nostri vecchi numeri in PDF.
© 2024 TheArchitecturalPost - Privacy - Informativa Cookies - Developed by Studioata