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Written by: Professione e Formazione

Italia anni 2000: come e dove si è (troppo) costruito

Nel 2009 in Italia sono stati costruiti quasi 55.000 nuovi edifici residenziali, per una volumetria complessiva di 111,7 milioni di mc. Si tratta, a livello nazionale, del secondo anno di calo dell’espansione edilizia: 98 milioni di mc nel 2002, 100 milioni nel 2003, 108 milioni nel 2004, 117 milioni nel 2005, 132 milioni nel 2006, 134 milioni nel 2007, il culmine, e poi 126 milioni nel 2008. La quantità di nuove costruzioni è sostanzialmente proporzionata all’incremento del numero di famiglie negli ultimi sette anni: circa 395 mc ogni nuova famiglia formata o immigrata fra il 2002 e il 2008. È però interessante osservare come e dove si è costruito.
Innanzitutto, l’aumento vistoso dell’edilizia di tipo estensivo nei piccoli comuni, spesso contigui alle grandi città. L’edilizia, nonostante l’aumento di fabbricati di media e grande dimensione, privilegia ancora e molto le tipologie di dimensioni ridotte: nel 2009, il 75% degli edifici è costituito da villette singole, bifamiliari, tri o quadrifamiliari, con una forte incidenza delle monofamiliari isolate. Ancora: nei comuni di dimensioni ridotte (da 2.500 a 20.000 abitanti), nel corso degli anni 2000 le costruzioni di piccole dimensioni sono aumentate dell’80% rispetto alla produzione degli anni novanta e del 50% rispetto agli ottanta.
Un altro parametro che aiuta a capire dove si è collocato il nuovo patrimonio edilizio è la distribuzione territoriale. Oltre 23 milioni di mc, più di un quinto delle realizzazioni del 2009, si è concentrato in cinque province, nell’ordine: Milano, Roma, Torino, Bari e Brescia. E un altro 40% ha riguardato 16 province. Inoltre, se si considera la tipologia edilizia, si può verificare che alle prime 5 province della tipologia edilizia estensiva (Lecce, Cagliari, Chieti, Sassari, Cuneo) corrisponde una quota del 18%; mentre alle prime cinque province della tipologia intensiva (Milano, Roma, Torino, Napoli e Bologna) corrisponde il 42,3%. E infatti l’impatto sul territorio nelle aree del Nord Ovest, sempre nel 2009, è stato di 5,2 mc per ettaro. Mentre il Nord Est ha registrato il maggior impatto sulla popolazione residente (2,4 mc per abitante).
Quindi, la prima considerazione è che il mercato principale, quello della promozione immobiliare più organizzata, presenta un grado di concentrazione territoriale elevatissimo che riguarda prevalentemente le aree comunali esterne ai capoluoghi. Infatti, l’85% della produzione è stata realizzata all’esterno dei capoluoghi di provincia. Con punte del 97% a Varese, Vicenza, Salerno, Pavia e Caserta. E questo appare evidente osservando la mappa che misura l’effettivo livello di diffusione esterna alle aree metropolitane e urbane, attraverso il rapporto fra nuovo edificato e stock esistente al 2001.
La localizzazione edilizia nel periodo 2003-2008 presenta due tipi di comportamenti. Il primo, minoritario, può essere sintetizzato nell’insistenza sui territori già urbanizzati e sommariamente interessa alcuni comuni metropolitani come Roma e Bari, il sistema metropolitano genovese, l’area foggiana, quella brindisina, il vertice nord-occidentale sardo, la zona costiera amalfitana fino a Salerno, la provincia ragusana e quella meridionale di Trapani. Si tratta sostanzialmente di edilizia che occupa ulteriormente territori in cui è consolidata o in crescita l’appetibilità immobiliare, anche turistica. Di qui il problema dell’aumento delle esternalità negative degli insediamenti dispersi e della grande distribuzione nelle periferie come l’aumento dei flussi di traffico che comporta un abbassamento della qualità dell’abitare. Nel Regno Unito e in Germania sono già attive norme sul contenimento della dispersione urbana; una nuova legge in California, concernente la riduzione delle emissioni inquinanti e l’eccessivo riscaldamento dell’atmosfera, è finalizzata a regolare lo sviluppo edilizio, la realizzazione d’infrastrutture per la mobilità, l’uso del suolo per eliminare le distanze da colmare e ridurre il traffico privato.
Vi è poi un secondo profilo, forse più interessante, che è quello dell’espansione edilizia nei sistemi metropolitani: quelli regionali di maggiore assorbimento occupazionale o quelli più interessati dalla presenza d’infrastrutture – quasi sempre stradali – per la mobilità. Un’espansione che tende, spesso, a riempire interstizi territoriali, a congiungere aree urbane consolidate. Lo si può osservare nella seconda mappa, relativa all’incidenza del nuovo costruito sull’urbanizzazione preesistente. Il fenomeno è visibile soprattutto nel triangolo delle province di Venezia, Bologna e Milano, quasi un’unica area che collega il sistema metropolitano lombardo (le aree esterne ai comuni di Brescia, Bergamo, Milano, Pavia, ecc), quello veneto (da Caorle a tutta l’area del trevigiano, Vicenza, Padova, Verona) e quello emiliano lungo l’asse della via Emilia (Bologna, Modena, Reggio, Parma). Si tratta di aree caratterizzate da economie più consolidate o dalla presenza di sistemi locali del lavoro più vivaci (o meno depressi): infatti, la nuova occupazione di suolo prosegue lungo la costa adriatica marchigiana fino ai sistemi abruzzesi di Pescara e Ortona. Ma anche nel sistema metropolitano laziale attraverso la direttrice verso Latina. Proseguendo verso sud sembrano proprio i tassi di vivacità economica, spesso di tipo turistico, a guidare anche i nuovi insediamenti extraurbani minori: i sistemi locali fra Firenze e Siena (Poggibonsi ed Empoli) per esempio, che negli anni passati hanno registrato un incremento occupazionale sensibile. Oppure l’area di Arzachena, La Maddalena e Porto Torres in Sardegna.

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Last modified: 17 Luglio 2015