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Lucia Pierro e Marco ScarpinatoWritten by: Progetti

Riecco il villino Florio

PALERMO. Il villino Florio all’Olivuzza, progettato da Ernesto Basile nel 1900-1901 è fra le prime realizzazioni moderniste italiane; rappresentava la grandezza culturale ed economica dei Florio, una delle famiglie italiane più in vista dei primi del Novecento e raccoglieva la migliore produzione artistica e tecnologica dell’isola, come gli arredi progettati da Basile per Ducrot, le pitture decorative di Giuseppe Enea e Ettore De Maria Bergler, le vetrate policrome di Giuseppe Gregorietti, le boiserie e gli arredi lignei delle ditte Muccoli e Golia, gli apparecchi illuminanti delle ditte Ceramica Florio e Caraffa e gli impianti elettrici della Società Trinacria.
Come è avvenuto con esiti peggiori con la demolizione di villa Deliella a piazza Croci, anche questa preziosa architettura non è stata risparmiata dalla violenza degli anni del sacco di Palermo (tra i cinquanta e i settanta) e, nella notte tra il 23 e il 24 novembre 1962, un incendio doloso con scopi speculativi ha distrutto quasi totalmente gli interni provocando seri danni alle strutture. Nello stesso anno si costituisce il comitato per la salvaguardia del Villino che oggi, dopo un iter durato quasi mezzo secolo, è divenuto parte del Demanio storico artistico della Regione Siciliana.
Il villino è già stato oggetto d’interventi di restauro. Quest’ultimo, inaugurato il 10 dicembre, su progetto dell’architetto Salvo Lo Nardo, porta a termine il processo di restituzione iniziato con un primo intervento del 1981 e un secondo concluso nel 2000. I lavori, diretti dall’architetto Marilù Miranda e da Giulia Davì della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Palermo, sono stati finanziati con i fondi del Por Sicilia 2000-2006 per un importo di 1,88 milioni.
Il restauro è stato condotto mettendo a sistema le conoscenze derivate dalla puntuale ricerca delle fonti documentarie con le più moderne tecnologie di rilievo realizzate in collaborazione con il Laboratorio di informatica applicata dell’Istituto per i Beni archeologici e monumentali del Cnr di Lecce diretto dal professor Francesco D’Andria. Lo staff di studiosi ed esperti ha lavorato al ripristino degli apparati decorativi, in particolare dei legni e delle stoffe irrimediabilmente distrutti dal fuoco, che sono stati riprodotti con l’aiuto di fotografie e documenti d’epoca per restituire le curvature dei legni e ricostruire i disegni, i colori e le trame delle tappezzerie.
L’intervento prova a rispondere alle questioni sollevate nella prassi del restauro filologico di un bene architettonico e artistico che, per l’articolata compresenza di differenti opere di arte e artigianato, costituisce un unicum. Tuttavia la cura nel restauro e nella ricostruzione dei raffinati elementi decorativi e di arredo interni non trova un adeguato riscontro nella definizione degli spazi esterni. Particolarmente significativa era infatti la collocazione del villino all’interno del parco romantico dei Florio all’Olivuzza, originario sito residenziale dei re normanni dominato dal castello della Zisa, divenuto in quegli anni un «giardino di città» su cui gravitavano villa Whitaker e gli stabilimenti Ducrot e ceramica Florio: un parco che, all’interno di un più ampio disegno urbano, rappresentava una nuova centralità capace di trasformare Palermo in una delle principali capitali d’Europa.
Favorendo un’idea di restauro che si concentra esclusivamente sul manufatto, la porzione superstite di quel parco urbano che fu ritrovo di ospiti illustri provenienti da ogni parte d’Europa è oggi uno spazio trascurato che attende di essere progettato e restituito a nuovi usi capaci di raccontare l’originaria relazione con il villino e il viale Regina Margherita.

Autore

  • Lucia Pierro e Marco Scarpinato

    Scrivono per «Il Giornale dell’Architettura» dal 2006. Lucia Pierro, dopo la laurea in Architettura all'Università di Palermo, consegue un master in Restauro architettonico e recupero edilizio, urbano e ambientale presso la Facoltà di Architettura RomaTre e un dottorato di ricerca in Conservazione dei beni architettonici al Politecnico di Milano. Marco Scarpinato è architetto laureato all'Università di Palermo, dove si è successivamente specializzato in Architettura dei giardini e progetto del paesaggio presso la Scuola triennale di architettura del paesaggio dell'UNIPA. Dal 2010 svolge attività di ricerca all’E.R. AMC dell’E.D. SIA a Tunisi. Vive e lavora tra Palermo e Amsterdam. Nel 1998 Marco Scarpinato e Lucia Pierro fondano AutonomeForme | Architettura con l'obiettivo di definire nuove strategie urbane basando l'attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio e la collaborazione interdisciplinare. Il team interviene a piccola e grande scala, curando tra gli altri progetti di waterfront, aree industriali dismesse e nuove centralità urbane e ottenendo riconoscimenti in premi e concorsi di progettazione internazionali. Hanno collaborato con Herman Hertzberger, Grafton Architects, Henning Larsen Architects e Next Architect. Nel 2013 vincono la medaglia d'oro del premio Holcim Europe con il progetto di riqualificazione di Saline Joniche che s'inserisce nel progetto "Paesaggi resilienti" che AutonomeForme sviluppa dal 2000 dedicandosi ai temi della sostenibilità e al riutilizzo delle aree industriali dismesse con ulteriori progetti a Napoli, Catania, Messina e Palermo. Parallelamente all'attività professionale il gruppo sviluppa il progetto di ricerca "Avvistamenti | Creatività contemporanea" e cura l'attività di pubblicistica attraverso Plurima

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Last modified: 17 Luglio 2015