Torino-Venezia e ritorno in treno ai tempi della Frecciarossa.
Ci sono quattro gradi sotto zero quando esco di casa. Lauto è coperta di brina. Scendo piano verso la città. Lindicatore del ghiaccio lampeggia. Devo lasciare lauto nel cortile della facoltà di Architettura al Castello del Valentino e procedere a piedi. La prima sorpresa è scoprire, come anche a quellora di mattina, un quartiere come San Salvario, simbolo nellimmaginario – non solo cittadino – di degrado e insicurezza, sia vivissimo.
La Frecciarossa parte puntuale da Porta Nuova. Vicino, come sempre accade in treni dove lopen space è norma, persone si accaniscono a telefonare a parenti, amici, collaboratori, domestiche, amanti un po irritati. Il primo sconcerto è passare lentamente, come per fotogrammi ma senza fermarsi, nella stazione sotterranea di Porta Susa, appena inaugurata proprio per ospitare lAlta velocità ma poi subito soppressa, e veder scorrere pochi
e infelici pendolari lungo la banchina. Il treno prende velocità in una campagna bianca e gelata,
lungo lautostrada, facendo sembrare ferme le auto. Ma lorgoglio del viaggiatore seduto e rilassato si stempera mano a mano che quella vicinanza disegna un muro che divide drasticamente due universi. Quella visione però presto scompare, quasi viene rimossa. Frangirumore di ogni materiale e colore allontanano quella visione e fanno sentire il viaggiatore quasi in colpa, perché non ricorda tutti i colori dellarcobaleno che li compongono. Allimprovviso la tavolozza sparisce e compare un ponte azzurro in un paesaggio dégasiano. Chissà a quale artista lo avranno affidato. I discorsi intorno toccano quasi ogni argomento: liti giudiziarie, transazione economiche, intimità quasi ostentate, gossip chiaramente fasulli.
Il treno arriva a Novara. Lattraversamento è inquietante, quasi un bunker, mentre gli snodi, mano a mano che ci si avvicina al Ticino fanno pensare ad antiche e lussuose civiltà sepolte da raggiungere.
A Milano Porta Garibaldi, nella carrozza rimangono quattro coppie cariche di valigie. Larrivo a Bologna, due ore dopo la partenza, è in orario. Scendiamo in una stazione animatissima, dove ormai non esistono più aiuti per chi ha bagaglio. Per fortuna la Samsonite inventò le rotelle e i bagagli rotolano rumorosamente sui marciapiedi. Il treno in coincidenza per Venezia è tre binari più in là. Scendo e mi ritrovo in un sottopasso zeppo di persone, raggruppate attorno alle scale che portano ai binari. Un mondo insieme rassegnato e silenzioso che popola, come nei Miserabili, il ventre della stazione, cercando un po dimprobabile calore. Salgo fiducioso al binario, seguito dalle quattro coppie e dalle loro valigie. Ma lattesa, che doveva essere di minuti, è vana. Il ritardo cresce e laria è gelida, Le quattro coppie mi guardano come il cane capo di una muta. Finalmente arriva lannuncio che il treno in ritardo – questa volta Frecciaargento – sta arrivando, ma su un altro binario. Mi muovo, ma mi accorgo che la coppia più anziana sta faticando. Prendo le loro valigie, scendo e fendo una folla quasi invidiosa di vederci rincorrere, un po affannati, un treno che parte. Il treno si ferma con rigore a Rovigo, Padova, Venezia Mestre e arriva a Santa Lucia in un tempo che ci fa rimpiangere il vecchio e ormai inglorioso Eurostarcity che collegava direttamente Torino e Venezia. Siamo arrivati alla Serenissima, passando per gli ex Stati pontifici e spendendo il doppio. Uscendo dalla stazione, la bora rende tutti i colori iridescenti; solo la cravatta verde del militante leghista, che con grande coraggio sfida quel freddo e tenta approcci che la temperatura rende improbabili, appare opalescente e portata lontana dalla bora.
Il ritorno è unOdissea, ci vorrebbe Omero a raccontarla. Soprattutto lassedio di
greci, eredi non tanto felici, dellira funesta di Achille, che assediando un capotreno, certo lontano parente degli eroi troiani, inventano la fermata a richiesta a Porta Susa, che forse lorgoglio della Frecciarossa non contemplava.
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