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Written by: Professione e Formazione

Ne usciremo tutti peggio

Nel 2000, quando la facoltà di Architettura Civile diede inizio all’attuazione del decreto 509 del 1999, le criticità più evidenti erano il perdurare del divario tra la durata legale e quella effettiva degli studi; la progressiva riduzione delle tesi di laurea seriamente rivolte al progetto di architettura; la frammentazione e la disarticolazione dell’impegno degli studenti a discapito dei confronti e delle integrazioni tra le esperienze condotte. Per queste ragioni, il progetto formativo che la facoltà si è data ha posto al centro l’esperienza dell’allievo nei laboratori di progettazione. Il riferimento è quello, dalle radici antiche, del progetto di architettura come concorso e coesistenza di saperi molteplici. Ma, mentre nell’ordinamento precedente (fondato sulle «aree disciplinari») veniva affidato allo studente il compito d’intrecciare per conto proprio le conoscenze, nel nuovo l’ambito operativo di sintesi sono i laboratori, presenti in ciascuna annualità con un peso pari alla metà dei crediti complessivi. Oltre alla loro rilevanza formativa, i laboratori integrati hanno consentito, sul piano pratico, una drastica riduzione delle valutazioni cui l’allievo viene sottoposto, anticipando alcuni contenuti del decreto 270 del 2004. Le scelte compiute hanno consentito di adeguare in pochi anni i piani degli studi, costruendo un impianto formativo che ha ottenuto sin da subito il riconoscimento europeo e il crescente apprezzamento da parte degli studenti, confermato dall’elevato numero di domande di iscrizione ai corsi.
La recentissima Nota del ministro dell’Istruzione (n. 160 del 4 settembre 2009) giunge a un decennio dall’avvio della prima riforma e a poco più di un anno dall’adeguamento voluto nel 2004. Anticipa i provvedimenti che il ministero intende adottare per risolvere questioni ritenute ancora aperte: l’eccessiva proliferazione delle sedi e la mancata riduzione dei corsi di studio e dei curricula a fronte dell’ancora elevato tasso di abbandono e di un sostanziale stallo del numero di studenti.
Se pure queste e le altre questioni sollevate dalla Nota sono rilevanti – e meriterebbero approfondite riflessioni – va detto che i provvedimenti proposti non tengono conto in alcun modo delle specificità dei progetti formativi e costituiscono una seria penalizzazione per Architettura.
Sottoposti agli obblighi del riconoscimento europeo – che prevede tra l’altro un preciso mix disciplinare e un rapporto docente/studenti ben determinato – i corsi di laurea in Architettura dovranno ridurre il numero degli allievi iscrivibili, a discapito del dichiarato obiettivo di aumentare il «tasso di passaggio» degli studenti dalla scuola superiore all’università. La Nota richiede difatti di aumentare progressivamente dal 50 al 70% la percentuale dei docenti di ruolo che insegnano nei corsi di laurea; per di più impone una formula per calcolare il «numero massimo di ore potenzialmente erogabili», penalizzando i percorsi formativi, come quelli rivolti agli allievi architetti, che richiedono ai docenti un impegno di molto superiore a quello previsto dal modello della lezione ex cathedra. Anche la determinazione del numero di crediti formativi minimo da assegnare a ciascun insegnamento porterà a un ridisegno, certamente peggiorativo, di quelle forme didattiche che hanno scelto di coniugare più saperi finalizzati all’obiettivo unitario del progetto.
In definitiva, si rischia di demolire l’idea fondativa delle migliori facoltà di Architettura, intese come scuole, cioè come luoghi in cui la conoscenza non viene solo trasmessa, ma prodotta in uno stretto rapporto tra ricerca e didattica, tra docenti e allievi.

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Last modified: 17 Luglio 2015