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I dati nella roccia. Sorprendenti flussi nella cava trentina

I dati nella roccia. Sorprendenti flussi nella cava trentina
Visita alla caverna mineraria della Val di Non dove si sta concludendo il progetto di data center pubblico-privato firmato da In-Site e in parte finanziato dal PNRR. Si consolida un ecosistema minerario con funzioni innovative

 

PREDAIA (Trento). Sottoterra è facile perdere l’orientamento, nei 15 chilometri di gallerie alte 12 metri che entrano nella profondità della montagna. Ma è anche più agevole ribaltare i punti di vista consolidati e scoprire un data center che, grazie anche a fondi pubblici, non consumerà suolo (o almeno ridurrà il consumo) e permetterà di contenere i costi energetici. I dati diventano materia, fungono da catalizzatori di una comunità intera e trovano, come inaspettati vicini di casa, forme di grana, bottiglie di vino e spumante e tante, tante mele. La logistica del futuro amalgamata in salsa trentina.

 

Poesia di buio, silenzi e cemento

La pianta appesa alle pareti del cantiere in fase di conclusione (una prima parte del data center sarà operativa entro fine anno) mostra una distribuzione semplice e razionale: una doppia galleria parallela con corridoi e stanze, circa 8.000 metri quadrati di superfici, ma ampliabili a 13.000 con lotti successivi.

Tutto è doppio. Anche i collegamenti verticali, poco meno di 50 metri di affascinante discesa (o salita) nella roccia. La connessione si chiama “fornello”, nel vocabolario minerario. Si può percorrere, con scale o ascensore. Ma soprattutto è un cavedio grande come una stanza, da lì passano tubazioni enormi. Dati, flussi, energie che entrano nella terra e animano le viscere di questa cava di dolomia, che si chiama Tassullo e da dove si estraggono rocce che poi diventano cemento. Usato anche in questo cantiere, a costruire un ciclo virtuoso, e a km0, come piace dire.

“Nei data center si segue la logica della ridondanza, tutto è simmetrico e tutto si deve duplicare. Anche gli impianti, per ragioni di sicurezza, di privacy del dato e di gestione. Sono tipologie che, intrinsecamente, sprecano”. Ad accompagnarci nella visita ipogea a Predaia, Val di Non, non lontano da Trento (dove le colline diventano montagne) è Pietro Matteo Foglio, architetto e amministratore delegato dello studio milanese In-Site planning and building. Le sue sono le parole di chi ha costruito un’esperienza ventennale nel tentativo di coniugare architettura e ingegneria che “qui si contaminano e si alimentano, definendo insieme una nuova grammatica infrastrutturale”.

Lo spazio nasce e si sviluppa in una condizione prioritaria di ricerca di efficienza, in un luogo che nessuno vede (almeno per la parte ipogea) e dove in pochi passeranno o lavoreranno (una ventina di persone, con una gestione prevalentemente da remoto). Ma la narrazione che emerge va in una direzione diversa: luci, colori, scorci, materiali, prospettive, ambientazioni.

“Entriamo e capirai meglio”, dice mentre mostra gli scheletri in cemento armato da poco gettati delle porzioni fuori terra, in una sorta di anfiteatro di roccia, immerso nel bosco, appena visibile da lontano: lì ci saranno i corpi di fabbrica, rivestiti in legno e con ampie vetrate verso la valle, del Building Data Center. Poco più in basso, ancora da costruire, un auditorium e spazi per la comunità a cui si arriverà con un piacevole e ameno percorso ciclabile tra prati e meleti.

Quello che effettivamente cogli, entrando, è una sinfonia. Non musicale ovviamente perché al momento quelli che si sentono sono i rumori attutiti del cantiere. Presto verranno sostituiti dal ronzio dei dati. Il buio lo immagini, rotto come è dalle luci artificiali. E dai colori vivaci dei cavi, delle prime attrezzature installate, delle macchine.

Si stagliano su uno sfondo grigio. Uniforme nei toni, vario e diverso nella rugosità della materia. La forma della roccia cavata è rivestita dallo spritz beton, il pavimento galleggiante è una gettata liscia perfetta, i nuovi muri in cemento armato sono grezzi con i segni dei casseri in vista. Solidità e firmitas, cavidotti appesi ad accompagnarci nei lunghi corridoi: i flussi ancora non ci sono, ma già sembra di sentirli.

Umanizzare i dati

“Questo nasce come caso studio pionieristico pensato come modello replicabile, adattabile ad altri territori che vogliano ospitare il dato senza rinunciare a paesaggio, cultura e comunità. Non si tratta infatti solo dell’idea eccezionale di ubicare nel sottosuolo un data center, ma ripensare il centro dati come elemento strutturale di una nuova ecologia tecnica, in cui il dato non è consumo energetico, ma contenuto culturale portatore di connessioni digitali e comunitarie”.

Ad un approccio inesperto, e forse superficiale, la questione così attuale e così dibattuta della proliferazione dei data center sembra una via purtroppo obbligata: servono, sempre di più, inquinano e impattano, sono e saranno scatoloni senza architettura.

Il progetto trentino si propone come un’alternativa, fin dalla sua complessa geografia societaria. Intacture è un’iniziativa del Trentino Data Mine, un partenariato pubblico-privato guidato dall’Università degli Studi di Trento, con il contributo tra gli altri di Covi Costruzioni (l’impresa edile), Dedagroup Spa, Gruppo GPI e ISA. L’investimento complessivo è significativo: circa 50 milioni di euro, di cui 18 circa da fondi PNRR e oltre 30 da risorse private. Per un data center con potenza di 1,5 MW, espansibile fino a 5 MW con successivi lotti. Sono spazi digitali che verranno affittati e messi sul mercato.

“Una struttura piccola come taglio – continua l’architetto Foglio – Ma proprio per questo adatta a sperimentare un approccio quasi sartoriale, quello che ci piace”. In-Site ha nel suo curriculum alcuni data center di successo come il Business Factory 2, BT2, di Settimo Milanese (2019) e il Nehos Datacenter a Padova (2024). E un’agenda piena di appuntamenti con potenziali operatori. “Perché in molti vedono il boom di richieste di data center come un possibile affare, remunerativo e semplice. Ma spesso senza nemmeno capire esattamente cosa siano. Costruirli costa moltissimo, tra 20 e 25.000 euro per metro quadrato, perché gli assetti impiantistici sono estremamente sensibili e importanti. Non ci si può improvvisare in questo campo”.

Al di là delle etichette e dei titoli (il primo data center in Europa, o forse al mondo, progettato e realizzato in una struttura ipogea, al di là di qualche applicazione in campo militare) l’iniziativa trentina sembra dire che c’è una strada che va oltre l’autoreferenzialità e l’anonimato architettonico. E che il dato può diventare da materia intangibile da stoccare in qualcosa che innesca relazioni, connessioni, spazi collettivi. Anche per costruire un approccio più consapevole da parte delle comunità, già coinvolto in visite, che diventeranno un’abitudine quanto il data center sarà in attività. Da qui derivano quelle scelte compositive orientate alla accessibilità estesa e alla messa in scena dei nuovi spazi.

Non una funzione, ma un ecosistema

Abitabilità dei vuoti di cava. Parlare con Daniel Turri, responsabile marketing e comunicazione del Trentino Data Mine, permette di avere una prospettiva diversa su quei milioni di metri cubi di roccia cavata negli anni e che da bolle di aria sotto la montagna della Val di Non si sono trasformate in opportunità. Economiche prima di tutto perché quegli spazi offrono ambienti protetti, sicuri, asciutti. Da riempire dunque: con oggetti prima, e dati ora.

La cava Tassullo (con una tormentata vicenda societaria alle spalle) ha una storia di 25 anni, durante i quali è stato cavato circa il 50% del volume di dolomia prospettato dai piani minerari. Circa 10 anni fa è invece iniziato, parallelamente, il percorso della cava 2.0, nella dimensione della logistica. Dapprima con Melinda, il consorzio di soci di produttori di mele, con cui si è testata (e poi attuata) la possibilità di conservare nella cava i frutti. In un ambiente dove è meno costoso mantenere costante la temperatura a 3° e che ovviamente impatta diversamente sul paesaggio rispetto ai magazzini (oggi sono 16) distribuiti sul territorio.

Grazie ai risultati il deposito si è progressivamente ampliato e ad agosto 2025 è stata inaugurata (anche questa una prima a livello internazionale) la Funivia delle Mele: lunga 1,3 chilometri è in grado di trasportare ogni ora quasi 500 contenitori da 300 chili ciascuno, viaggiando alla velocità di 5 metri al secondo. Entrano direttamente nella cava e così non servono i camion (oltre 5.000 viaggi ogni anno) lungo le strade nel periodo della raccolta (tra settembre e novembre) e poi della movimentazione verso i mercati.

“Successivamente, nel 2021 e nel 2022, sono arrivati i depositi, più piccoli ma importanti per diversificare, di Cavit e di Trentingrana”, spiega Turri. È lui a raccontare ai potenziali clienti, anche del data center, la qualità degli spazi, la vocazione di questo che definisce come un “ecosistema minerario complesso e integrato”, i programmi futuri. Possibili grazie a una deroga alla legge mineraria nazionale che si è avuta, come unica esperienza, in Trentino. Perché per la pianificazione e per la legislazione i vuoti di cava sono tali, e non volumi con ritrovata funzionalità.

La cava Tassullo è caso pilota anche in questo. “Luogo di incontri e di intuizioni pionieristiche – conclude Pietro Matteo Foglio – Una rigenerazione di spazi ipogei che permette di accogliere insieme cibi, dati, energie. Questa è la contemporaneità”.

 

Immagine di copertina: Intacture, Cava Tassullo, 2025 

Autore

  • Michele Roda

    Architetto e giornalista pubblicista. Nato nel 1978, vive e lavora tra Como e Milano (dove svolge attività didattica e di ricerca al Politecnico). Dal 2025 è direttore de ilgiornaledellarchitettura.com

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Last modified: 22 Ottobre 2025