Riflessione sui campus didattici come emblematici dispositivi di una comunità allargata e di possibile rigenerazione di ambiti urbani complessi
Si è svolta a metà settembre, all’ex Mattatoio di Roma, l’ottava edizione della Biennale dello Spazio Pubblico. Evento ricco e partecipato che permette di riflettere su progetto e caratteri dei luoghi collettivi nelle città contemporanee, sotto il titolo “insieme / together / juntos”. Il Giornale dell’Architettura, media partner, ha già dedicato alcuni articoli di avvicinamento all’iniziativa. Offriamo ora commenti e punti di vista da parte di docenti e critici che hanno coordinato alcune sessioni: vogliono essere un bilancio dei temi discussi e soprattutto un’apertura alle questioni più significative che lo spazio pubblico contemporaneo genera.
La sessione Spazi pubblici salubri, vivibili e adattivi, organizzata da Marichela Sepe, DICEA-Sapienza Università di Roma – insieme al GUDesign network che ha patrocinato la BiSP 2025 – ha presentato buone pratiche di spazi pubblici con interventi e pannelli, questi ultimi realizzati dagli studenti e dalle studentesse dell’omonimo corso Spazi pubblici salubri, vivibili e adattivi del CdS Ingegneria Edile-Architettura Sapienza Università di Roma.
Ambienti porosi
Focus centrale degli interventi sono stati gli spazi pubblici universitari e le nuove piazze di Roma Capitale realizzate per il Giubileo con particolare attenzione a quelle che hanno rapporto con il fiume Tevere. Le università non sono solo luoghi di istruzione: sono ecosistemi urbani in miniatura dove qualità spaziale, relazioni e politiche si intrecciano e incidono sul benessere di chi li abita. In questa prospettiva, i campus funzionano come laboratori di città. Tre fattori sono in particolare emersi in apertura della sessione: il biophilic design, reti di spazi aperti, giardini drenanti, alberature come frangivento e percorsi pedonali leggibili favoriscono il recupero dallo stress e la socialità informale; la prossimità inclusiva: sedute, ombra, bagni accessibili, wayfinding universale e microluoghi ibridi per studio e gioco rendono gli spazi realmente usabili da studenti, personale tecnico-amministrativo e cittadini; la continuità città–campus: connessioni lente verso stazioni e metro, interfacce attive ai margini, mix funzionale (residenze, sport, cultura) trasformano il campus da enclave a infrastruttura civica.
I modelli insediativi – greenfield, gated, integrati – evolvono verso configurazioni più porose: l’università diventa dispositivo di rigenerazione per quartieri marginali, ma genera anche sfide (traffico, turbolenze immobiliari). Per questo la mobilità è decisiva: reti ciclabili sicure, attraversamenti rialzati, interoperabilità con TPL e standard pedonali continui riducono costi ambientali e sociali. Un filone di ricerca operativo propone matrici di valutazione per stimare dotazione verde, permeabilità pedonale, inclusività e “stress-free design”, utili soprattutto nei contesti del Global South dove vincoli spaziali e finanziari impongono soluzioni efficaci e replicabili.
La qualità degli spazi pubblici interessa tutti gli utenti, ma interseca anche la giustizia di genere nella ricerca: dati europei mostrano percorsi di carriera femminili più precari e con barriere all’accesso ai vertici. Spazi esterni accoglienti e servizi di prossimità (cura, orari estesi, micro-attrezzature per la vita quotidiana) sono leve ambientali a sostegno di politiche più eque. Le università sono inoltre spazi politici: luoghi di espressione, accoglienza e conflitto creativo. La stagione post-pandemica ha riaffermato il valore dei “terzi luoghi” all’aperto per assemblee, studio diffuso e mutualismo.
Qui contano tanto gli allestimenti leggeri quanto i dispositivi mobili di partecipazione (chioschi, banchi-atelier, bacheche interattive) capaci di trasformare corti, porticati e prati in luogo di apprendimento non formale. In parallelo, cresce l’esigenza di isole bianche per il digital detox: spazi intenzionalmente liberi da notifiche, con comfort microclimatico e regole d’uso chiare, come antidoto alla dipendenza da connessione internet.
Aperture e interferenze
I casi europei mostrano scenari diversi e complementari. In Lituania, campus nati in epoca sovietica – immersi in boschi ai margini urbani – oggi capitalizzano la prossimità alla natura con reti di spazi condivisi; a Savona e in altri poli liguri e catalani, l’idea di Open Campus ibrida didattica, paesaggio e patrimonio industriale in sistemi di nodi e corridoi ecologici; a Torino il Masterplan Team del Politecnico traduce politiche in dispositivi spaziali e mediazione con gli stakeholder, prefigurando un campus di architettura più centrale, continuo e aperto alla città.
Nei contesti mediterranei, la strategia dell’università esternalizzata moltiplica i luoghi d’apprendimento all’aperto; ad Ankara e Volos, ricerche su METU e Thessaly confermano che la vitalità degli spazi dipende dall’intreccio tra configurazione fisica e appropriazione sociale, in linea con i pensieri di Henry Lefebvre, Kevin Lynch, Jan Gehl e William H. Whyte.
Un riferimento esemplare viene anche da Vancouver: a UBC, il Public Realm Plan (dal 2009) integra camminabilità (walkability), comfort climatico e arte pubblica come infrastruttura di orientamento e identità. La collaborazione con i Musqueam riconosce la storia del luogo e la traduce in toponomastica e cura condivisa. Foreste, giardini, spiagge e edifici sostenibili non sono solo sfondo ma parte del progetto di benessere.
In merito invece alla mostra “Spazi pubblici salubri, vivibili e adattivi”, i pannelli hanno illustrato buone pratiche di spazi pubblici riferite ai principi della Carta della salubrità e vivibilità urbana, ideata da chi scrive nell’ambito di ricerche svolte con l’ISMed-CNR. Tra le aree scelte come casi di studio: l’area dell’ex Fiera di Roma, le nuove piazze di Roma, i parchi di Madrid, gli spazi pubblici del campus Parkville di Melbourne, il quartiere della Vittoria a Roma, i principi della prossimità urbana intesa come fattore fondamentale per ottenere un luogo salubre e vivibile. La mostra è visitabile anche online sul sito della BiSP. Dalle esperienze presentate nella sessione e nella mostra emergono alcune parole chiave che vanno ad aggiornare e completare la Carta prima menzionata: flessibilità e capacità di adattamento, biophilic design, urbanistica di genere, digital detox, a conferma che la qualità degli spazi pubblici contemporanei si misura non solo in termini di prestazioni ambientali e funzionali, ma anche nella loro attitudine a generare benessere diffuso, inclusione e resilienza sociale.
Immagine di copertina: Renzo Piano, Campus Politecnico di Milano 2021 (© Matteo Bergamini)