Ampia retrospettiva allo Stedelijk Museum di Amsterdam: il lavoro artigianale del grafico olandese si offre come emblema di curiosità, vitalità e dinamismo
AMSTERDAM. Il lavoro di Karel Martens inizia dalla carta. Non una carta qualsiasi, ma quella già segnata da un’altra vita: schede catastali, elenchi telefonici, cartoline d’archivio. È su questi supporti logori che il designer olandese, classe 1939, sovrappone forme, scritture e colori, generando immagini che sono insieme residue e nuove. La sua pratica, profondamente analogica, si fonda sulla stampa manuale, sul riuso di matrici e supporti e sulla costruzione di un linguaggio visivo astratto ma densamente strutturato.
L’ufficio scrigno nel SILODAM di Mvrdv
Martens si forma come grafico alla Arnhem Academy of Art and Industrial Design, dove si diploma nel 1961. Il suo lavoro si è sempre mosso tra design indipendente, editoria sperimentale e insegnamento. Dal 1997 è co-fondatore del celebre corso di design alla Werkplaats Typografiead Arnhem, uno dei centri più innovativi della scena grafica europea.
Lo Stedelijk Museum di Amsterdam dedica oggi a Martens la più ampia retrospettiva mai realizzata, allestita come una ricostruzione del suo studio, sito al piano terra del SILODAM, il complesso residenziale progettato da Mvrdv lungo l’IJ: uno spazio affollato di scaffali, schedari, pezzi meccano che il grafico usa come matrici. Accanto allo scanner e ai due computer, un grande torchio ancora in funzione.
Così lo spazio espositivo ospita una parete di oggetti accumulati, moodboard, campioni, libri, affiancata da vetrine con progetti, schizzi, repliche oggettuali. Più in là i tavoli da lettura progettati da Martens e una sala film che mostra il designer al lavoro e che restituisce il senso del fare artigianale che lo contraddistingue. Nel documentario spiega: “Amo stampare su carte usate e usurate […] mi affascina la combinazione tra immagine e testo. Qualcuno, in un ufficio, ha battuto a macchina quei caratteri con attenzione: oggi fanno parte di un lavoro totale”. Si definisce sperimentatore più che artista, raccoglie oggetti dal pavimento, frammenti che per altri sono scarti e che per lui diventano strumenti di stampa. “Nel mio lavoro il caso gioca un ruolo speciale. Cammino spesso con la testa bassa: non è tristezza, ma la ricerca di idee nella pavimentazione. Le cose che la gente butta via, per me possono essere preziose”. Questo atteggiamento curioso anima la sua pratica: un laboratorio artigianale dove il torchio diventa macchina di esplorazione e il libro un oggetto da toccare, rigirare, annusare.

Quando la grafica diventa dispositivo e struttura
Racconta Barbi Haliti, designer e suo allievo: “Karel guarda ai libri in un modo fisico. Ne sente il peso, la rilegatura, la texture della carta. Diceva spesso che troppi gesti uccidono un libro o un poster: è importante essere chiari attraverso decisioni precise”. Questo rapporto corporeo con le cose, questa sensibilità tattile e questa attenzione materica alla realtà dice bene del legame di Martens con l’architettura, un sodalizio lungo quasi 40 anni. Nel 1987 vince, infatti, il concorso per disegnare l’insegna luminosa del Netherlands Dance Theatre, il teatro progettato da Rem Koolhaas a L’Aia. Martens concepisce un dispositivo al neon su due file di lettere (“Dance” e “Theatre”) animate da un software, in grado di comporre sequenze variabili come in una coreografia luminosa, creando divertenti giochi di parole che rivelavano lo scopo del teatro, conferendogli movimento ed energia. A causa di limiti di budget, l’animazione fu utilizzata solo per una settimana. L’edificio fu, purtroppo, demolito nel 2015.
Negli anni successivi Martens collabora con de Architekten Cie per la Filarmonica di Haarlem. L’edificio, un tempo sede della tipografia Joh. Enschedé, viene rinnovato e ampliato: sulle superfici vetrate Martens applica un motivo ispirato a un sonogramma di “Clocks”, composizione del musicista Louis Andriessen, creando una partitura visiva che lega la memoria della tipografia con la funzione musicale dell’edificio. Ancora una volta, la grafica diventa struttura, ritmo, costruzione spaziale.
A Le Havre, in occasione del 500° anniversario della città (2017), il designer è chiamato a intervenire sulle centinaia di cabine bianche disposte lungo la spiaggia. Martens le trasforma in un grande mosaico urbano fatto di strisce verticali colorate, ideate con l’aiuto del Dipartimento di matematica dell’università locale. La verticalità delle bande rimanda all’architettura di Auguste Perret, simbolo dell’ottimismo della ricostruzione. Anche qui, il progetto grafico diventa un dispositivo urbano, un codice visivo che interpreta lo spazio collettivo.

OASE, una rivista costruita e cangiante
Oltre agli interventi diretti, il contributo più importante di Martens al dibattito architettonico è legato a OASE Journal for Architecture. La rivista nasce negli anni settanta come iniziativa indipendente di studenti della TUDelft (tra cui Dirk-Jan Postel e Peter Drijver), per reagire alla mancanza di riflessione critica nel panorama olandese. Martens, chiamato a ripensarne la veste grafica, rompe con l’idea di uniformità editoriale: propone un formato più piccolo, carte diverse, griglie flessibili. Ogni numero assume un carattere unico, in relazione ai contenuti, trasformando la grafica in parte integrante della riflessione. Els Kuijpers, nel saggio “Thinking in Structures” (in “Karel Martens: Printed Matter”), osserva: “In Martens il design non illustra: organizza il pensiero”. OASE, sotto la sua direzione grafica, diventa una sezione visiva sul discorso architettonico contemporaneo, dove ogni elemento — margini, titoli, font — è un atto di costruzione e lettura.
Nel 1990, nel ridisegnare la rivista, Martens suggerisce di abbandonare il formato A4 spillato in favore di un più compatto 17 x 24 cm, vicino alla dimensione di un libro e soprattutto più efficiente in termini di resa tipografica, poiché riduce lo spreco di carta. Solo in due occasioni questo formato è stato modificato: il numero 40, dedicato alla poesia, adotta un mezzo formato che permette di contenere più pagine in rapporto a un carattere più piccolo, ottenendo così una disposizione più intima e coerente con i contenuti; mentre il numero 51, sugli Smithson, richiede un impianto più ampio per accogliere la cronologia curata da Max Risselada e Dirk van den Heuvel, con fogli piegati in 12 anziché 16 pagine.
Nel numero 100 della rivista, che ne ripercorre la storia, Martens ricorda come il suo approccio grafico fosse fondato sull’idea di partire sempre dai contenuti: “Ogni numero doveva trovare nel tema la propria forma. Non esistevano schemi fissi, né caratteri tipografici predeterminati, né una carta uniforme, né tantomeno un logo costante. L’obiettivo era piuttosto dare al design la capacità di riflettere, di volta in volta, la natura dei testi. In questo modo la rivista avrebbe continuato a sorprendere i suoi lettori. Eppure, nonostante le variazioni continue, tutti i numeri risultano riconoscibilmente parte di una stessa famiglia: un’identità condivisa che non si manifesta in un singolo elemento formale, ma in un denominatore comune più profondo”.
La retrospettiva dello Stedelijk – oltre 300 opere, tra monoprint, libri, riviste, francobolli, carte telefoniche, piccole e ingegnose sculture – mostra con chiarezza come il progetto di Martens nasca sempre da un contatto diretto con il mondo fisico: un foglio d’archivio, un frammento trovato, la pelle di un edificio. Nel presente dominato da schermi e immagini effimere, il suo lavoro riafferma la concretezza del gesto manuale e la vitalità della materia.
Immagine di copertina: Karel Martens, Monoprint, 2015
“Karel Martens. Unbound”
11 luglio – 26 ottobre 2025
Stedelijk Museum, Amsterdam
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Amsterdam , design , grafica , karel martens , mostre , mvrdv , oase , scarto
Last modified: 3 Settembre 2025