Visit Sponsor

Alessandro ColomboWritten by: Progetti

Ri_visitati. Mondadori e Niemeyer, 50 anni di poesia

Ri_visitati. Mondadori e Niemeyer, 50 anni di poesia
Celebra mezzo secolo di vita il Palazzo di Segrate: una storia unica e leggendaria per un edificio che, pur cambiando (anche con un intervento recentissimo), conserva intatta la sua essenza

 

SEGRATE (MILANO). Per chi avesse la ventura di visitare il grande edificio di Segrate in una condizione di semivuoto – una calda e assolata giornata d’estate prefestiva potrebbe andare bene – la visione senza esseri umani potrebbe ricordare l’immagine di un enorme animale addormentato, risplendente di una bellezza antica, ma immobile e silente, non si capisce se avvolto nel sonno a ricordare i fasti passati o in attesa di un futuro incerto.

Gli anni si vedono tutti, ma non è un difetto. Come scriveva il poeta John Keats, “una cosa bella è una gioia per sempre”*, e quell’appannamento di materiali e finiture, quell’aurea di progresso futuribile, ma ormai passato, che alberga in ogni singolo dettaglio, così come nel grandioso impianto a portali giganti in cemento armato, tutto contribuisce a creare un fascino difficilmente replicabile e forse anche descrivibile. Siamo di fronte a una concezione unitaria e perfettamente compiuta nella quale Oscar Niemeyer, il suo studio e tutto lo staff, mettono a frutto una serie di soluzioni, tecniche ed espressive, sperimentate e messe a punto negli anni e che, indubbiamente, nell’edificio della Mondadori a Segrate trovano una realizzazione vicina alla perfezione, sia rispetto all’opera dell’architetto in generale, sia in considerazione delle sue esperienze italiane.

* A thing of beauty is a joy for ever: | Its loveliness increases; it will never | Pass into nothingness; but still will keep | A bower quiet for us, and a sleep | Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing. (John Keats, Endymion, Book I, 1818) – Una cosa bella è una gioia per sempre: | cresce di grazia; mai passerà | nel nulla; ma sempre terrà | una silente pergola per noi, e un sonno | pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato. (John Keats, Endimione, libro I, traduzione Viola Papetti, RCS RIzzoli, 1998)

 

Il passato

Sembra quasi impossibile, ma, in un’epoca che ancora non aveva subìto il fenomeno dell’esportazione globalizzate delle opere delle archistar, un famosissimo architetto brasiliano, avvezzo allo scenario internazionale e a incarichi al massimo livello governativo e istituzionale, risponde alla chiamata di un imprenditore italiano che gli offre come scenario una distesa di campi ai margini della città, quasi una cartolina della pianura padana, per farci una sede aziendale il cui scopo è realizzare un moderno spazio di lavoro più che celebrarsi. E, pur adottando un modulo noto, i portali ad arco ritmati, e un linguaggio consolidato e riconoscibile, quel beton brut tanto caro alla modernità carioca e non solo, il risultato è perfettamente consono al luogo, interpretando e valorizzando al meglio il genius loci.

Come un’antica cascina lombarda, l’edificio della Mondadori sta nel paesaggio a guisa di riferimento e rifugio per chi lavora, meravigliosamente circondata dalla natura disegnata da Pietro Porcinai che si esibisce discreta financo in un laghetto – ma faremmo meglio a dire una bolla d’acqua sorgiva a memoria dei fontanili cari alla bassa milanese – dal quale emerge la Colonna dai grandi fogli, opera di un Arnaldo Pomodoro, che da poco ci ha lasciato, allora brillante giovane scultore.

Forse fortunosa, forse voluta, la convergenza di intenzione e azione in un risultato a cui nulla si può togliere o aggiungere, tanto è riuscita, rimane un unicum, e come tale va considerato e trattato.

 

Il presente

La genesi dell’edificio è nota e un poco leggendaria. Un viaggio a Brasilia di Giorgio Mondadori, la meraviglia di fronte a Palácio Itamaraty (il Ministero degli Esteri, 1962-1964) disegnato da Niemeyer, l’incarico all’architetto brasiliano per il progetto della nuova sede della casa editrice, passata nel dopoguerra da 300 a 3.000 dipendenti che necessitano, ovviamente, di una sede adatta.

La sacralità laica dell’edificio è data da una scatola di vetro sospesa a un ordine gigante di portali ad arco parabolico, presi alla lettera dal Ministero di Brasilia, che assolve alle funzioni strutturali con grande eleganza. La sequenza dei portali segue un ritmo variabile esaltato dalla bidimensionalità (200 metri di lunghezza per 30 di profondità) della grande stecca con i cinque piani di uffici in vetro color bronzo, che galleggiano in modo quasi impossibile.

Ai portali, in cemento armato e ripetuti lungo le facciate con un ritmo variabile dai 3 ai 15 metri, sono ancorate le travi d’acciaio che portano il peso dei cinque piani, destinati agli uffici. Questi sembrano galleggiare nel vuoto e dialogano con i corpi minori, bassi e legati allo specchio d’acqua che sembra dare al tutto l’energia per vivere, come in effetti avviene dal punto di vista dello scambio termico necessario agli impianti di condizionamento. I raffinati interni sono caratterizzati da una concezione ad open space ritmata da arredi, allora come oggi, di grande qualità.

Il complesso garantisce fin dalla concezione una notevole continuità fra esterni e interni, questi non meno importanti e forse ancor più eloquenti per dettagliare la visione del mondo e del lavoro che li avevano mossi.

 

Il futuro

Il Palazzo Mondadori viene completato nel 1975 e compie quest’anno, felicemente, mezzo secolo di vita. La successiva addizione non porterà squilibri alla lucida composizione del complesso: nel giugno 2007 viene inaugurato un ampliamento nel quale viene ristrutturata la Cascina Tregarezzo, memoria storica del luogo, dove, su progetto di Werner Tscholl, vengono aggiunti due corpi di fabbrica a chiusura dell’antica corte.

Tutto cambia (purtroppo) e l’edificio deve affrontare nuovi scenari e nuovi assetti. Non vi è alcun dubbio che la straordinaria storia dell’editoria italiana del secondo dopoguerra rimanga una memoria e con essa, ciò che ha prodotto. Gli aspetti finanziari prendono il sopravvento su quelli industriali, la proprietà dell’edificio muta e si “deve” pensare a un rinnovamento.

Se gli esterni e il paesaggio sono intoccabili, almeno speriamo, sugli interni si può lavorare. Nel 2015 il palazzo è stato scelto dal gruppo di artisti Cracking Art come sede di un’installazione: un piccolo esercito di animali in plastica colorata, il lupo, il suricato, la rana, la chiocciola e la rondine, si avviano sui prati alla volta del grande complesso (qualcuno rimane ancora lì). Forse una preveggenza della chiave ludica che informa il progetto presentato nel 2024 da Carlo Ratti Associati e Italo Rota: The Office as a Playground. Secondo le intenzioni dei progettisti il campo giochi, in grado di trarre le persone dalla comfort zone delle riunioni Zoom dal salotto di casa, si otterrebbe smontando i preziosi arredi USM dell’epoca per rimontarli dopo averli riverniciati in toni chiari e introducendo superfici in legno e spazi per il verde interno.

Una delle più confortanti rassicurazioni che ci dona l’architettura di grande qualità risiede non solo nella sua resistenza al tempo, ma anche nel fatto che l’impianto generale sia in grado di resistere a modifiche e cambiamenti che, se possono apportare qualche scalfittura, non ne danneggiano l’essenza. Sembra proprio che la Mondadori di Oscar Niemeyer a Segrate appartenga a questa categoria.

 

Immagine di copertina: Palazzo Mondadori, Segrate © Alessandro Colombo

 

 

Oscar Niemeyer ha lavorato a tredici progetti per l’Italia. Palazzo Mondadori, insieme all’ex Cartiera Burgo di San Mauro Torinese e all’auditorium a Ravello, è uno dei tre realizzati ben documentati nella mostra “Niemeyer e l’Italia” che si è tenuta ad aprile a Milano ed è attesa per l’autunno a Venezia.

Autore

  • Alessandro Colombo

    Nato a Milano (1963), dove si laurea in architettura al Politecnico nel 1987. Nel 1989 inizia il sodalizio con Pierluigi Cerri presso la Gregotti Associati International. Nel 1991 vince il Major of Osaka City Prize con il progetto: “Terra: istruzioni per l’uso”. Con Bruno Morassutti partecipa a concorsi internazionali di architettura ove ottiene riconoscimenti. Nel 1998 è socio fondatore dello Studio Cerri & Associati, di Terra e di Studio Cerri Associati Engineering. Nel 2004 vince il concorso internazionale per il restauro e la trasformazione della Villa Reale di Monza e il Compasso d’oro per il sistema di tavoli da ufficio Naòs System, Unifor. È docente a contratto presso il Politecnico di Milano e presso il Master in Exhibition Design IDEA, di cui è membro del board. Su incarico del Politecnico di Milano cura il progetto per il Coffee Cluster presso l’Expo 2015

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 40 times, 1 visits today)
Share

Tag


, , , , ,
Last modified: 15 Luglio 2025