Dieci anni fa la città accoglieva l’Expo con molti nuovi progetti. Tra questi due edifici (di Rem Koolhaas e Stefano Boeri) emblemi di una fase storica, di successo e ricca di contraddizioni
MILANO. La Milano del 2014-2015 vede trionfare la città di Expo, pay off che campeggiava, anche a caratteri cubitali, per vie e piazze.
I puristi, perplessi dalla mancanza dell’articolo determinativo – dell’Expo – furono rassicurati dall’Accademia della Crusca che, prontamente interrogata, forse salomonicamente certificò la liceità delle due forme. In verità, quella soglia storica vide la città cambiare per molto più di una sottigliezza grammaticale.
Due edifici, emblemi di un’epoca
Non ci riferiamo solo al volto urbano, che veniva così ad appartenere (trionfalmente) all’immaginario di una città di grattacieli con il compimento, visibile e tangibile, anche se non ancora perfetto, delle due grandi aree di rinnovamento di Garibaldi Repubblica e City Life, quanto ad un vero mutamento del senso dell’architettura e del valore ad esso attribuito. Due realizzazioni, radicalmente diverse, ma unite nel processo storico temporale, segnano questo passaggio.
Il Bosco Verticale, mai nome più azzeccato fu attribuito ad un edificio, e la Fondazione Prada, avamposto dorato dell’interesse della moda per l’arte nella sacca già industriale posta a meridione, fra scalo ferroviario di Porta Romana e Parco Agricolo Sud, in una delle aree cittadine più centrali e più dimenticate, almeno fino a quel momento.
Per definire il fenomeno “Bosco Verticale” potrebbero bastare le parole di Stefano Boeri stesso: “Ho capito che il Bosco Verticale sarebbe diventato importante [quando] ho ricevuto dal grande Giuseppe Montanari l’immagine di Dylan Dog e Groucho che guardavano perplessi questa strana, bizzarra, alta casa per alberi, umani e uccelli nel cuore di Milano”. Fenomeno, prima che edificio o architettura, perché la realizzazione di Boeri Studio (Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra), si colloca come caposaldo di un immaginario collettivo green che va ben oltre i confini della cronaca del costruito.
Allo stesso modo, ma con caratteristiche radicalmente diverse, la Fondazione Prada ridefinisce il modello di intervento sull’esistente con funzioni espositive e culturali e costituisce un terminus a quo nel panorama urbano della città contemporanea e della sua rigenerazione.
Bosco Verticale: innovativo, costoso, premiato, copiato
“I veri boschi non sono verticali” affermava, all’inizio del 2025, una gigantesca affissione collocata sul sovrappasso del Pirellino, l’edificio un tempo sede del Comune di Milano costruito a scavalco di via Melchiorre Gioia, oggi in fase di ristrutturazione da parte di Coima. Edificio oggi in vista del bosco, quello verticale, nato a completamento dell’area Garibaldi Repubblica sul lotto Isola, posato su quella che una volta era la stecca degli artigiani, l’insediamento spontaneo nella piccola fabbrica di sapone di Enrico Heimann, ora persa alla città ma rimasta viva nel cuore di molti.
La spregiudicata, ma brillante, pubblicità mette il punto sul dibattito sollevato dal bosco. Se cioè esso rappresenti la risposta all’intento di “far tornare la natura viva…ad abitare gli spazi concepiti per l’uomo in una costruzione fatta di terra, cemento, acciaio, vetro e da 21.000 piante, 360 esseri umani, 20 specie di uccelli e innumerevoli insetti”, come si legge anche in BOSCO VERTICALE Morphology of a Vertical Forest, il libro edito da Rizzoli nel 2024 e realizzato in occasione dei suoi primi 10 anni. Oppure se sia una forzatura per una natura costretta in una forma data e voluta, resa possibile grazie ad ingenti costi di realizzazione e mantenimento.
Se guardassimo l’opera priva di piante, vedremmo delle torri semplici e neomoderne con un gioco di balconi sfalsati, in fondo una rivisitazione di esperienze del Movimento Moderno, ampiamente frequentate e ormai digerite dalla storia delle nostre città. L’adozione della popolazione arborea, posta oltre le normali finiture di tamponamento, la porta al di là del linguaggio dell’architettura facendola diventare un simbolo, intellegibile da tutti, di una possibile coesistenza fra edificazione ed ecologia, fra cemento e vegetazione.
Come è stato notato da molti, per questi motivi il Bosco Verticale è diventata la realizzazione italiana più conosciuta e influente degli ultimi anni, anche se ha fatto il grande salto uscendo dalla storia dell’architettura ed entrando, di diritto, in quella del costume.
Insignito di diversi riconoscimenti – l’International Highrise Award nel 2014, Migliore Architettura del Mondo 2015 per il Council on Tall Buildings and Urban Habitat tra gli altri – l’edificio è connotato da una notevole complessità di progettazione e realizzazione. Basti pensare alla scelta e disposizione delle specie e della loro policromia per la definizione dello schermo vegetale, alla costruzione delle vasche, all’ancoraggio delle piante, al sistema di irrigazione a goccia – alimentato dal recupero delle acque grigie e dall’acqua di falda – al sistema di mitigazione delle vibrazioni (la costruzione è contigua ai tunnel delle linee di metropolitana 2 e 4) e non si sottrae ad una manutenzione onerosa che lo rende prodotto per pochi.
Non di meno il bosco ha generato una metodologia di intervento green che il suo ideatore (con molti progetti analoghi in corso, progetto che è diventato modello) vuole proporre come una soluzione innovativa nella (ri)costruzione delle città in chiave ecologica, sostenibile e applicabile a tutte le latitudini.
L’edificio abitato da alberi, insetti, esseri umani, diventa così, nelle sue giaciture orizzontali o verticali, uno stilema della cultura formale urbana.
Fondazione Prada: accumulazione di tecniche, oggi un rifugio intellettuale
Appartenendo a un ideale trittico – con Fondaco dei Tedeschi a Venezia (2008-2016) e Garage Museum of Contemporary Art a Mosca (2011-2015) – la Fondazione Prada di Milano (2008-2018, ma l’inaugurazione del primo nucleo è del 9 maggio 2015) costituisce forse la più convincente prova di Rem Koolhaas e OMA come intervento sull’esistente e si pone a un punto di arrivo della sua riflessione teorica, nata negli anni settanta e giunta al famoso Fuck the Context esplicitato nell’antologia Bigness del 2006.
E di maturità nel rapporto con la maison milanese dopo gli esperimenti degli epicentri, nati a New York con quello di Soho nel 2001, che hanno rivoluzionato il modo di concepire uno store di moda.
La Fondazione occupa una superficie di circa 20.000 metri quadrati ed è caratterizzata da diverse costruzioni che occupano gli spazi dell’antica distilleria Società Italiana Spiriti risalente al 1910 e collocata nell’area a sud dello scalo ferroviario di Porta Romana, in quella cintura della ruggine che anche a Milano descrive la dissoluzione della città industriale a favore di quella del design a far corso dalla fine dell’ultimo millennio.
Menu à la carte di tutte le possibili metodologie di intervento: restauro filologico e iper conservativo degli antichi corpi di fabbrica, impianto scenografico ricostruttivo di un bar anni cinquanta, decorazione in foglia d’oro di un’altrimenti anonima torretta, algida tecnologia materica dello spazio per le esposizioni temporanee e sala da visioni d’essai (contraddistinta dal bassorilievo di Fontana recuperato dallo storico cinema Arlecchino di corso Vittorio Emanuele), modernismo decontestualizzato dell’eburnea torre espositiva, la Fondazione Prada sembra essere stata uno stupendo campo di sperimentazione e messa in atto delle visioni di committente e architetto, non capendo bene chi abbia prevalso.
Rispondendo a uno schema di accumulazione che tiene insieme in un recinto, quello della fabbrica, i pezzi di una cultura milanese oltre a quelli di una vasta collezione d’arte contemporanea, è diventata da un decennio luogo rifugio per intellettuali, cultori della materia, fashion victims redenti o anche semplici turisti e cittadini che qui cercano e trovano raffinate mostre, esclusive produzioni cinematografiche, divertissement culturali calati in uno spirito che è diventata la matrice di rinnovamento urbano di un ampia parte di città.
Forse in questo, uscendo dal perimetro Prada/Koolhas/OMA, risiede il merito di una eterogenea realizzazione ove, per usare le parole del progettista, “vecchio e nuovo, orizzontale e verticale, ampio e stretto, bianco e nero, aperto e chiuso…stabiliscono la varietà di opposizioni che descrive la natura della nuova Fondazione”, insignita del Compasso d’Oro nel 2018.
Il merito è quello di essere stata il motore e il riferimento di un nuovo approccio di valorizzazione di aree abbandonate che ora, rivitalizzate, costituiscono un epicentro cittadino che si vede, a sua volta, nel cuore del grande progetto – dura prova, invero – di trasformazione dello scalo di Porta Romana. Processo che è appena iniziato non sembra in modo così felice, con la realizzazione dei grevi volumi del villaggio olimpico.
Affacciandoci sul secondo quarto di secolo del nuovo millennio ci conviene tenere stretti questi due racconti di passato urbano per guardare ai nuovi scenari, non così sereni, che si addensano sul futuro di Milano.
Immagine di copertina: la pubblicità, con vista sul Bosco Verticale, Milano, 2025. Le immagini del Bosco Verticale sono tratte dal sito web dello studio Stefano Boeri Architetti. Quelle della Fondazione Prada dal sito web di OMA.
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Boeri , bosco verticale , koolhaas , Milano , prada , Ri_visitati
Last modified: 8 Aprile 2025